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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2013 alle ore 06:50.

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La durezza della crisi sottolinea le asimmetrie interne al modello industriale europeo. Questo modello tende a convergere verso una centralità del manifatturiero che, anziché produrre un uniformarsi delle condizioni del fare impresa, provoca una tendenza centripeta fra i diversi Paesi.
Questo trend vale anche nella meccatronica. Prendiamo la finanza aziendale. «Il nostro settore - spiega Davide Canavesio, del Saet Group di Leini, in provincia di Torino - vive di capitale circolante». Il tecnicismo bancario è fondamentale per capire la dinamica industriale del comparto e, soprattutto, le profonde differenze sperimentate dalle imprese italiane rispetto a quelle, per esempio, tedesche. La Saet è specializzata in macchinari per tempra a induzione. Ha 350 addetti: 165 in Italia. Fattura una quarantina di milioni di euro, il 90% all'estero. Ha quattro stabilimenti: oltre che in Italia, in India (a Pune), in Cina (a Shanghai) e negli Stati Uniti (a Surgoinsville, nel Tennessee). «Un cliente standard - spiega Canavesio - mi dà, a tre mesi dalla chiusura del contratto, un anticipo compreso fra il 10% e il 30% del valore del macchinario. Mettiamo che io impieghi un anno a fabbricarlo. Lo consegno. E, a quel punto, fra i 60 e i 90 giorni dopo, lui mi paga il resto della cifra pattuita». Un tempo infinito, in cui diventa fondamentale il tema del credito. «Io mi finanzio al 7% - dice Canavesio - i tedeschi al 4 per cento».
Canavesio, 41 anni, ha una laurea in economia a Torino, più due anni di master in economia internazionale ad Harvard. Prima di rientrare nell'azienda di famiglia ha lavorato per Morgan Stanley e per Bain. Dunque, la sua figura incrocia la tradizione del capitalismo familiare italiano con i circuiti del capitalismo internazionale. Diverso il percorso di Franco Stefani, fondatore a Fiorano Modenese del System Group. Stefani appartiene a quella generazione di tecnici che si sono fatti imprenditori e che hanno costruito - con i suoi limiti e i suoi punti di forza - il capitalismo italiano a prato basso. Stefani, classe 1945, ha frequentato l'Istituto professionale Don Dorino di Sassuolo, dove da ragazzo gli sono stati impartiti i primi elementi di elettrotecnica e le prime tecniche di "aggiustaggio meccanico". La sua impresa, oggi, fattura 300 milioni di euro, il 90% da export. Trecento gli addetti.
Stefani ha contribuito a creare una vera e propria nicchia della manifattura internazionale: i sistemi di automazione destinati alle imprese della ceramica. «Negli anni Sessanta - dice Stefani - ogni addetto produceva otto metri quadrati di ceramiche al giorno. Oggi realizza 450 metri quadrati. Anche se, in realtà, l'addetto non è più un artigiano-operaio, ma un controller. Tutto, ormai, è automatizzato». Questa piena automatizzazione è stata possibile con la convergenza fra la meccanica e l'elettronica. Adesso, però, occorre affrontare un altro tema. «L'impatto delle tecnologie – spiega Stefani – sulla produzione ormai è minimo. Oggi c'è un tema commerciale e organizzativo». Come migliorare l'efficienza per linee interne e come cogliere le opportunità su scala mondiale, avendo un radicamento e una dimensione molto locale.
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