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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2013 alle ore 07:59.

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Ieri mattina alle sette i cartelli «Chiusi per indignazione» erano già spariti dalle vetrine dei negozi Dolce&Gabbana di corso Venezia e via Spiga e da quelle del ristorante Gold di piazza Risorgimento, di proprietà dei due stilisti. Nel corso della giornata tutti e nove i punti vendita di Milano hanno riaperto, dopo una serrata di tre giorni causata dalle dichiarazioni di Franco D'Alfonso: giovedì scorso l'assessore al Commercio della giunta del sindaco Giuliano Pisapia aveva detto che il Comune di Milano «non avrebbe dovuto dare spazi a evasori fiscali come Dolce e Gabbana.»

Tra i due stilisti e il fisco è in corso una dura battaglia: le società che fanno a capo a Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono accusate di non aver pagato le tasse per un'operazione che risale al 2004; la sentenza di colpevolezza di primo grado è del 19 giugno e i legali degli stilisti stanno già lavorando all'appello. Le parole – definite anche dal sindaco Pisapia «improvvide» – hanno portato alla chiusura dei negozi (ma ai 250 dipendenti saranno pagate regolarmente le tre giornate di lavoro, hanno precisato Dolce e Gabbana), all'acquisto di due pagine sui principali quotidiani italiani e a un ping pong di commenti e accuse tra esponenti politici del Comune, della Regione Lombardia e perfino della Campania (si veda Il Sole 24 Ore di domenica), che si è offerta di ospitare la sede della società qualora gli stilisti volessero abbandonare Milano (una boutade provocatoria di cui non si sentiva il bisogno).

Pisapia ha cercato di chiudere la polemica invitando Dolce e Gabbana in Comune e ha cercato di minimizzare, respingendo le accuse arrivate da un suo ex assessore, Stefano Boeri, che ha stigmatizzato l'uscita di D'Alfonso come la dimostrazione della scarsa attenzione del Comune al mondo della moda, che assicura alla città un quinto del suo Pil. Domani pomeriggio invece il sindaco vedrà i vertici della Camera della moda (che si riunisce in mattinata per il consiglio direttivo fissato il 13 maggio). «La questione Dolce&Gabbana non è all'ordine del giorno – spiega il presidente della Camera Mario Boselli – anche perché entrambi gli appuntamenti sono fissati da mesi». Ma non è escluso che lo scontro tra gli stilisti e il Comune venga discusso, come sintomo della distanza che separa la giunta dalle esigenze e sensibilità del settore della moda. (G.Cr.)

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