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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2013 alle ore 17:11.

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PORDENONE - Alla fine l'Ideal Standard, cent'anni di storia industriale nei sanitari e rubinetteria, ha tirato le somme e fatto la propria scelta: dal primo gennaio 2014 sarà «sacrificato» lo stabilimento di Orcenico di Zoppola (Pordenone), con la perdita di 416 posti di lavoro. «Risparmiate», invece, le fabbriche di Trichiana (Belluno) e Roccasecca (Frosinone). Secondo l'azienda – di proprietà della compagnia di private equity Bain Capital di Boston, specializzata in acquisizioni, venture capital e investimenti alternativi – si tratta di un percorso obbligato, in vista del mantenimento della produzione in Italia.

Nelle linee guida del piano industriale, presentate al ministero dello Sviluppo Economico) qualche giorno fa, si legge che «il mercato edilizio e della ristrutturazione in Italia ha subito una forte contrazione a causa di una crisi senza precedenti», che ha impattato «in modo significativo sul settore dei sanitari in ceramica», tanto che «tra il 2008 e il 2012 il mercato ha subito una contrazione del 52%, da 6,6 a 3,5 milioni di pezzi». È previsto un ulteriore calo di volumi. Pertanto «l'azienda ha esaminato le performance di tutti i suoi siti produttivi in Italia»; si tratta di «allineare la capacità produttiva all'attuale domanda di mercato e di aumentare la competitività riducendo l'impatto di costi fissi su quelli di produzione concentrando i nuovi investimenti (1,9 milioni di euro) in due dei tre stabilimenti italiani. L'analisi ha evidenziato che Orcenico ha costi fissi molto elevati». Disamina che i sindacati non condividono. In questi giorni i lavoratori hanno incrociato le braccia (ieri a Trichiana, oggi a Roccasecca), in attesa che venga convocato un tavolo al Mise. «Si trovino misure alternative – afferma Emilio Miceli, segretario della Filctem-Cgil – anche perché l'intero gruppo è interessato da un contratto di solidarietà difensivo fin dal 2010 – destinato a scadere il 31 dicembre 2013 e non prorogabile secondo la normativa vigente».

Ma quella dell'Ideal Standard non è l'unica crisi sul territorio. Si pensi a Dayli Italia, catena di negozi di vicinato ex Schlecker: l'ad Giancarlo Sachs ha chiesto al Tribunale di Udine l'ammissione al concordato preventivo in bianco: nel frattempo, azienda e sindacati hanno siglato al ministero del Lavoro un verbale di Cigs (fino a giugno 2014) per 1.022 dipendenti (240 in regione); e 300 punti vendita (90 in regione) hanno chiuso i battenti. Altra spina è l'Electrolux: a marzo il gigante svedese degli elettrodomestici e sindacati hanno sottoscritto un accordo che prevede il ricorso per due anni alla solidarietà; «ma – afferma il segretario regionale della Cisl Giovanni Fania – l'azienda presenterà un nuovo piano industriale in autunno; e la posizione dello stabilimento di Porcia (Pordenone, 1.300 dipendenti) è tutt'altro che sicura, visto l'andamento del mercato del “bianco”». Fania cita, tra le situazioni di crisi, anche quella della Ferriera di Servola (Trieste), complesso industriale (del gruppo Lucchini) specializzato nella produzione di ghisa. La società è in amministrazione straordinaria (commissario è Pietro Nardi); impiega direttamente 493 dipendenti più 300 dell'indotto. Di recente il gruppo siderurgico cremonese Arvedi si è detto pronto a prendere in affitto la fabbrica triestina, in vista di un successivo acquisto di ramo d'azienda.

«In realtà – afferma Fania – le situazioni di crisi in regione sono numerose. L'autonomia non salva più nessuno; e non giova, al sistema locale in genere, la macchina burocratica farraginosa e tendente all'elefantiasi. Un modello costituito per i tempi d'oro, quando andava tutto bene; ma ora è troppo costoso. Si pensi ai tanti livelli istituzionali, ai Comuni da 50 abitanti, al proliferare di enti di secondo grado, che servono soltanto a trovare un posto a qualcuno. Occorre un'opera di razionalizzazione; e trovare il coraggio di fare scelte impopolari».

Secondo il presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia, Alessandro Calligaris, è soprattutto un problema di cuneo fiscale: «Austria e Slovenia – afferma – fanno ponti d'oro per le nostre aziende, puntando su snellezza burocratica, chiarezza delle leggi e costo del lavoro. Qualcuna si è già trasferita».

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