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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2013 alle ore 06:52.

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PIACENZA
Per l'agroalimentare made in Italy è un grande mercato in crescita (le esportazioni, +7,7%, valgono 323 milioni di dollari). Ma la Cina resta un Paese dalle molte incognite, anche sul versante della normativa sulla sicurezza alimentare. «Fino a quando Pechino non renderà pubbliche le proprie procedure di analisi e i limiti tollerati di sostanze nocive – dice Lorenzo Morelli, preside della facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza – l'ingresso in quel grande mercato continuerà a essere difficile».
A Piacenza l'ateneo ha ospitato ieri Chu Xiaogang, massima autorità cinese in tema di controlli della qualità e della sicurezza degli alimenti. Presiede infatti la Chinese academy of quality supervision, inspection e quarantine, conosciuta per aver messo a punto tecniche innovative per individuare residui di pesticidi e altre sostanze nocive. Il gigante asiatico sta ancora lavorando sugli standard internazionali in un confronto al quale si presenta senza accettare un semplice adeguamento. E anche i metodi di analisi sono caratterizzati da un continuo work in progress. «La volontà di collaborare c'è ma siamo alla fase della timida apertura», aggiunge Morelli. Cosa che contribuisce anche a spiegare le crisi nell'interscambio commerciale come, ultimo in ordine di tempo, il braccio di ferro con la Ue sui vini. «Si tratta di un mercato con fortissime potenzialità di espansione – dice Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini – ma di grande complessità. Sono numerosi gli ostacoli, a partire dalle normative fino alla procedura di registrazione per poter esportare. L'indagine recentemente avviata sul vino europeo, come risposta ai dazi Ue sui pannelli solari, desta preoccupazione. Ci sembra di essere di fronte ad una vera e propria ritorsione». L'agroalimentare italiano è al 26° posto nel mondo per valore delle esportazioni verso la Cina. In crescita ma lontano dalla Francia (decima). Primo fornitore di cioccolato, con una quota oltre il 40%, è al secondo posto per la pasta. Seguono olio d'oliva, spumante, acque minerali, caffè, vino e formaggi. Quanto ai produttori di vino esportano per un valore di 77 milioni di euro, +15% in più rispetto al 2011.
Il mercato cinese resta un bacino dalle enormi potenzialità ma ancora residuale per molte eccellenze alimentari. È il caso del Prosciutto di Parma, entrato in Cina nel 2007 ma, di fatto, solo formalmente. «Fin dalle prime esportazioni – spiega Paolo Tanara, presidente del Consorzio emiliano – abbiamo riscontrato diversi problemi burocratici che hanno scoraggiato i produttori. Possiamo dire che siamo in una fase esplorativa. La Cina è ancora troppo lontana per una pluralità di cause diverse, culturali ed economiche».
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