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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2013 alle ore 08:25.

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MILANO
Un altro simbolo del made in Italy emigra all'estero. Questa volta tocca alle cucine Berloni che assumono il passaporto cinese. Nulla di male: stile e produzione rimarranno in Italia, a Pesaro, com'è sempre stato dagli anni Sessanta. Anzi ai taiwanesi di Hcg, per i quali il made in Italy è un grande valore, va dato atto di salvare l'azienda afferrandola per i capelli: Berloni spa, fiaccata dalla crisi e oberata di debiti, è stata ammessa al concordato preventivo e, in agosto, il giudice fallimentare, dopo aver verificato la volontà dei creditori, dovrebbe concedere l'omologa. Saranno pagati primi i creditori privilegiati e poi i chirografari. In media però dovranno accontentarsi d'incassare solo il 15% (o poco di più dopo l'ultima perizia) dei loro crediti e soltanto 100 lavoratori dei 320 potranno rientrare dal 1° settembre in azienda.
Nella nuova società, la Berloni Group, Hcg ha rilevato il 50% del capitale, Intermedia Holding (la merchant bank di Giovanni Consorte) il 44% e i tre fratelli Berloni il restante 6%. «Noi siamo una fiduciaria – spiega Giovanni Gioli, presidente di Berloni Group e rappresentante di Intermedia Holding – che ha sottoscritto un aumento di capitale di tre milioni e ora punta a trovare un partner per condividere un progetto industriale. Dove? Nella parte del mondo che cresce, in Asia, grazie ai buoni uffici di Hcg. Poi tutto è possibile».
Hcg e i soci hanno firmato il 23 luglio un contratto di affitto d'azienda e investiranno 10 milioni di euro per l'acquisizione del marchio Berloni e dei principali asset oltre all'accollo di alcuni leasing operativi per altri 8. «Grazie all'affitto – aggiunge Gioli – i creditori potranno riavere una parte dei loro soldi. Non prima però del voto dei creditori: la maggioranza dovrà poter contare su almeno 18 milioni su 36 di debiti». Nel bilancio 2012 depositato in tribunale Berloni Spa dichiara 26 milioni di ricavi, la metà dei 51 dell'anno prima con 43 milioni di debiti verso le banche e 24,4 verso i fornitori.
E la produzione? «Non credo che i cinesi dopo la conquista del brand – interviene Fausto Vertenzi, segretario di Fillea Cgil di Pesaro – trasferiranno la produzione in Asia. Il brand ha un valore fintanto che lo stile e la produzione vengono realizzate in Italia».
«Il marchio made in Italy – rassicura Gioli – è importate per Hcg e per chiunque voglia fare business in Asia».
Poi il sindacalista si chiede: «Che dovevamo fare? Prima eravamo davanti a un burrone, adesso abbiamo la speranza di non finirci dentro. La Berloni spa era decotta: aveva un fardello di debiti complessivo di 80 milioni e non pagava i dipendenti da marzo. Poi, per fortuna, il 1° giugno è scattata la Cig in deroga». E gli altri dipendenti che non saranno riassorbiti? «Confidiamo che Obiettivo lavoro – conclude Vertenzi – riesca a ricollocarli tutti».
Il gruppo Hcg, quotato alla borsa di Taipei, è da anni un distributore di Berloni, specializzato nella produzione e nella commercializzazione di sanitari, arredi per bagni e cucine: nello scorso esercizio ha realizzato ricavi per 145 milioni di euro (1,1 milioni di utile), in crescita di oltre il 30% rispetto al 2009.
La bolognese Intermedia Holding spa dispone di un capitale di 180 milioni; nell'ultimo bilancio depositato, quello del 2011, evidenziava ricavi per 6 milioni e una perdita di 23 milioni. Tra i 117 soci, azionisti di rilievo sono Isoldi (in liquidazione), Cassa risparmio Cesena, Popolare Etruria, Teti Finanziaria, Ima, Credito di Romagna, Cpl Concordia.
Le prospettive di Berloni Group? «Per il secondo semestre del 2013 – sottolinea Gioli – puntiamo a un fatturato di 8,5 milioni. E poi nel 2017 raggiungere i 60 milioni. Se non riusciremo a centrare questi obiettivi siamo comunque tarati per continuare a produrre cassa».
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