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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2013 alle ore 17:26.

Stretto dalla morsa di una crisi decennale aggravata dall'attuale recessione, trafitto dalla concorrenza internazionale, il distretto lucano-pugliese del mobile imbottito – più conosciuto come distretto del divano – affida le speranze di rilancio all'attuazione dell'accordo di programma del febbraio scorso. L'accordo prevede uno stanziamento di 101 milioni ripartiti tra Regione Puglia (40), Basilicata (20) e ministero dello Sviluppo economico (40). «Anche se è solo un primo, importante passo», dicono imprenditori, sindacati e terzisti. Un punto di partenza su cui basare la terapia d'urto che dovrebbe risolvere (forse) mali antichi e nuovi. L'accordo dovrebbe sostenere la ricerca e l'innovazione ma soprattutto la nascita di attività industriali alternative, in grado di riassorbire gli esuberi del distretto.
«I tempi d'oro – ripetono gli interessati – non torneranno più. Però qui nella Murgia, nel Materano, nei paesi del distretto ci sono gli anticorpi per reagire, c'è la voglia di tenere alta la testa e continuare».
I tempi d'oro sono quelli tra l'80 e il 2000 quando i Natuzzi, i Nicoletti, i Calia danno valore industriale ad attività prettamente artigianali già presenti negli anni Cinquanta nell'area: falegnami, tapezzieri, mobilieri, imbottitori. I tempi d'oro parlano di leader mondiali nella produzione di divani in pelle, di fatturati complessivi di oltre 2,5 miliardi con 14mila addetti diretti e altrettanti indiretti a cavallo delle due regioni. I tempi d'oro parlano anche di un forte, elevato e improvviso benessere che fece circolare sulle difficili strade della Murgia e della Lucania fuoriserie di grido, auto sportive. Sul territorio si ricordano ancora le feste natalizie aziendali: la gara a chi le organizzava più belle e sfarzose, con il cantante alla moda come ospite e con regali griffati e gioielli alle maestranze. E c'è anche chi racconta di un volo in giornata, andata e ritorno, a Parigi per acquistare un jeans introvabile in Italia, da mostrare alle amiche nelle passeggiate serali sul lungomare di Metaponto.
Tutto questo è scomparso. Nicoletti ha portato da tempo i libri in tribunale. Nell'area industriale della Mattarella il suo impianto da 50mila metri quadrati è vuoto, in abbandono, circondato da erbacce e calura mentre sui sei pennoni prospicienti l'ingresso sventolano brandelli di bandiere. Una desolazione. Natuzzi – da tutti indicato come il capostipite, il padre geniale del distretto – ha da poco annunciato più di 1.700 esuberi nonostante lunghi periodi di cassa integrazione. Calia è alla seconda generazione ma ha dovuto affrontare un pesante piano di riorganizzazione. E così come loro, tanti altri nomi del polo del salotto che oggi conta 110 aziende (erano oltre 550), meno di ottomila addetti (la metà in cassa integrazione o comunque interessata a procedure di mobilità) e un fatturato globale di 700 milioni. Un distretto piramidale, una catena di montaggio diffusa sul territorio, con poche grandi aziende leader e una miriade di terzisti e fornitori specializzati: chi nei fusti in legno, chi nei tessuti, chi nelle imbottiture. E chi prima era fornitore, poi è diventato lui stesso produttore di divani. Tra queste centinaia di micro e piccole aziende da qualche anno si è insinuata sul territorio la presenza di una robusta comunità cinese che produce «comprando, smontando e copiando i divani made in Italy», dicono a Matera.
La crisi del distretto ha tante origini: la caduta dei consumi; il rafforzamento dell'euro sul dollaro che ha compromesso il mercato Usa dove si è affacciata la concorrenza messicana; la solita Cina che ha fatto piazza pulita dei divani italiani in Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania. Poi è arrivata la delocalizzazione e sono arrivati i divani rumeni e bulgari. Ma era pioggia sul bagnato: il distretto soffre fin dalla sua comparsa. In primo luogo un distretto a cavallo di due regioni significa due politiche industriali, agevolazioni differenti, contesti occupazionali diversi, interventi scollegati e non organici. «E poche sono state le occasioni in cui le due Regioni si sono parlate per fare politica comune», dice Tito Di Maggio, senatore, presidente in carica del "Distretto industriale del mobile imbottito" e dirigente Chateau d'Ax. Tanto è vero che il distretto esiste a Matera, con legge istitutiva del 2001. In Puglia invece c'è un più generico polo del mobile del salotto. Il tutto in poche decine di chilometri di distanza. Non sono poche le aziende pugliesi che, con capannoni sul confine regionale, hanno spostato la sede amministrativa a Matera, o viceversa a seconda di come erano concessi i contributi regionali. Ma anche questa è una stagione finita. Altri "mali" storici del polo sono la carenza o la mancanza di capacità di fare rete, di disporre di un centro servizi comune per le politiche di export, per la formazione dei giovani, per promuovere e organizzare le fiere. L'assenza di una scuola di design, «fondamentale – dice Saverio Calia, 58 anni e 32 milioni di ricavi in crescita con Calia Italia – per rispondere a un mercato evoluto che oltre alla qualità chiede forme e armonie nuove ogni anno».
Già un paio di anni fa ci si provò. «Organizzammo il progetto Mim – spiega Di Maggio – con 45 giovani designer lucani e pugliesi e 45 laureandi del Politecnico di Milano. Un successo. Poteva essere la molla per cominciare un corso di formazione, ma dopo quella esperienza dalla Regione sono arrivati solo dei no». Eppure, nonostante le mille difficoltà, non sono pochi gli imprenditori che vanno a gonfie vele. Pasquale Lorusso, 51 anni, presidente del gruppo Bawer, oltre alla produzione di cassette portautensili per camion in acciaio, ha pensato di usare lo stesso materiale per l'intelaiatura dei divani. Un successo. O come il caso di EgoItalia, fondata nel 2007 da Nino Scarcella (ex responsabile commerciale Italia della Nicoletti) e dallo zio Pierostano (responsabile ufficio acquisti Nicoletti). Nonostante anni difficili hanno oggi un fatturato di 13 milioni fatto quasi interamente sul mercato italiano.
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