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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2013 alle ore 06:50.

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L'Agcom, quantomeno, è stata tempestiva. Ha adeguato il Piano delle frequenze televisive con una visione prospettica sulle nuove modalità di valorizzazione e di utilizzo dell'etere. Le frequenze a disposizione della televisione diminuiranno così come il numero delle reti nazionali ma la capacità trasmissiva aumenterà progressivamente, grazie all'introduzione del nuovo standard Dvb-t2, i cui televisori sono già a disposizione nella grande distribuzione. Ci sarà, quindi, spazio per tutti. Almeno in teoria.
Lo Stato, da parte sua, avrà a disposizione quattro canali su cui organizzare un'asta al miglior offerente, la seconda, per la banda larga mobile. Il Piano, inoltre, risolve i problemi d'interferenza, interni ed internazionali, che affliggono tuttora soprattutto la Rai ma anche Mediaset, soprattutto in Sicilia.
Tutto bene, allora? Non proprio, anche se va riconosciuto all'Agcom e al suo presidente Angelo Cardani di aver avuto il coraggio di rivedere un Regolamento per la gara delle frequenze (quello con sei multiplex all'asta) che avrebbe peggiorato la visione del digitale e reso quasi impossibile la revisione del Piano. Certo, sarebbe stato meglio prima raggiungere il coordinamento con gli stati confinanti e poi fare la gara e il Piano ma la responsabilità è di chi ha voluto rilasciare tutte le frequenze assegnabili durante la transizione al digitale, senza tener conto delle compatibilità internazionali e delle interferenze tra regioni confinanti.
Il vero quesito sulla revisione del Piano non è tecnica ma riguarda l'assetto del sistema televisivo italiano nell'era del digitale e dei contenuti multipiattaforma. Si rafforza la posizione dei maggiori operatori, quelli che hanno cinque reti digitali anzitutto ma non solo loro, rispetto agli altri, alle piccole tv nazionali e alle tv locali. Si si pensa davvero di aumentare il pluralismo mettendo a gara tre multiplex – di cui due in banda VHF, che hanno problemi di ricezione da parte di diverse antenne in alcune città? I vincitori, sempre che l'asta non vada deserta – altrimenti andrà abbassato il prezzo – dopo aver pagato quanto dovuto allo Stato dovranno prima costruire la rete e poi acquistare diritti sui contenuti o cercare di noleggiare le frequenze ad altri operatori. Difficile pensare a nuove tv generaliste o a canali di news competitivi con i grandi operatori. Difficile pensare, ad esempio, che Sky scenda in gara per una rete in VHF.
E' un Piano tecnicamente non attaccabile, ma che risente e riproduce, forse inevitabilmente, forse no, le disparità di un sistema la cui transizione al digitale è stata governata per riprodurre la "disparità analogica".
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