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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2013 alle ore 06:50.

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Per classificare come ristrutturazione edilizia la demolizione e ricostruzione di un edificio non sarà più necessario rifarlo esattamente uguale a come era in precedenza, con la stessa sagoma. I Comuni possono, però, limitare l'applicazione di questa norma nei centri storici.
Sono alcune delle semplificazioni che il decreto legge "del fare" (Dl 69/2013) ha apportato, in materia di edilizia, al testo unico dell'edilizia.
La modifica introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c) del Dpr 380/2001, permette di includere la demolizione di un edificio e la sua successiva ricostruzione (anche di ruderi di consistenza certa prima del crollo) con una forma differente dalla precedente tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, con la possibilità, quindi, di realizzare i progetti con segnalazione certificata di inizio attività (Scia). Finora questi interventi passavano per nuove costruzioni, con la conseguenza che per realizzarli occorreva il permesso di costruire o la denuncia di inizio attività (Dia). Naturalmente, tra il vecchio e il nuovo edificio deve restare invariata la volumetria.
In sede di conversione del Dl 69 è stata introdotta una limitazione all'applicazione generalizzata e automatica della semplificazione sulla sagoma. Entro il 30 giugno del prossimo anno i sindaci devono, se non vogliono che al loro posto lo faccia un commissario regionale o ministeriale, individuare le aree dei centri storici e le altre classificate come zone omogene A dal decreto ministeriale 1444/68 nelle quali per gli interventi di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma continua ad essere necessario il permesso di costruire. Nelle restanti aree delle zone A, i lavori potranno iniziare solo dopo 30 giorni dalla presentazione della Scia. In queste zone l'applicazione della Scia a interventi con modifica della sagoma è sospesa: sarà possibile solo dopo che i Comuni avranno indicato le aree assoggettate a permesso di costruire.
Questa novità si lega a un'altra disposizione del decreto, in base alla quale lo sportello unico per l'edilizia (Sue) è diventato l'ufficio del Comune che deve acquisire tutti i pareri e nullaosta anche per gli interventi realizzati con la comunicazione di inizio dei lavori e la Scia.
L'interessato può presentare la richiesta di acquisizione di parere contestualmente alla Scia o comunicazione. In alternativa può dividere in due tempi l'operazione: prima chiede al Sue di acquisire gli assensi necessari e poi, una volta ottenuti, presenta la comunicazione del titolo abilitativo.
Un'altra misura anticrisi riguarda la validità temporale dei titoli abilitativi. Con il decreto del fare non occorre più alcuna motivazione per chiedere, al Comune, di iniziare i lavori oltre il termine di un anno dal ritiro del permesso di costruire o per terminarli oltre i tre anni dalla posa della prima pietra.
D'ora in avanti per ottenere una proroga di due anni di ognuno di quei termini è sufficiente una semplice istanza, senza che l'amministrazione comunale possa sindacare sul perché.
In sostanza vengono raddoppiati da quattro a otto gli anni a disposizione degli interessati per completare gli interventi. Le imprese, quindi, hanno più tempo per realizzare gli interventi senza chiedere il rilascio di un nuovo permesso e senza pagare il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione per la parte dell'opera non completata entro il termine di validità del titolo. La proroga vale anche per gli interventi realizzati con Dia e Scia. Finora solo nelle Marche operava la proroga automatica dei titoli abilitativi.
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