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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2013 alle ore 06:46.

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MILANO
«Le agenzie che all'estero mostrano la brochure del Paese aiutano poco. Bisogna offrire alle multinazionali, e agli investitori esteri in generale, la certezza che fare business in Italia sia facile. Oggi la percezione non è questa».
Giuseppe Recchi, presidente di Eni e alla guida del Comitato Investitori esteri di Confindustria, sa bene che fisco, giustizia, costo del lavoro sono nodi strutturali che non si sciolgono in pochi mesi. Ma ribadisce che l'Italia ha ancora molto da offrire. A patto che sappia mettersi al servizio degli investitori esteri.
Ingegner Recchi, l'Italia è in fondo alla classifica in Europa per capacità di attrazione di investimenti esteri. Perchè?
L'Italia è un Paese dove fare impresa è difficilissimo e dove non a caso lo scorso anno gli investimenti diretti dall'estero siano crollati dal 70 per cento. C'è un sentimento diffuso secondo cui possiamo continuare a contare su una sorta di rendita di posizione, perchè siamo in Europa, siamo industrializzati e pensiamo di essere uno dei più bei Paesi del mondo. Un confronto tra le Baleari e la Sicilia: le prime hanno 1430 km di coste, la nostra isola, ben più ricca di storia, circa 1500. Ebbene, l'arcipelago spagnolo fa 41,2 milioni di pernotti, la Sicilia 3,7 milioni.
In realtà, abbiamo tante zavorre...
Certo, abbiamo problemi su fisco, giustizia, rigidità e costo del lavoro. Ma gli investitori interessati all'Italia non hanno bisogno di brochure. Sanno anche che abbiamo una manodopera qualificata, una buona logistica e una posizione geografica interessante. Il vero problema è rimuovere gli ostacoli burocratici. Tempi lunghi e incertezza del diritto, il fatto che non ci siano sicurezze per chi investe preoccupano molto di più delle tasse.
Molte Regioni si sono dotate di agenzie per l'attrazione degli investimenti sul proprio territorio. Secondo Lei, sono utili?
Più che innumerevoli agenzie all'Italia serve innanzitutto una strategia. Ovvero, darsi delle priorità (dove semplificare, cosa e quanto incentivare), un'organizzazione, allocare funzioni e responsabilità. Più che tante agenzie che si contrappongono, all'Italia servono competenze dedicate e responsabilità assegnate.
Crede che il progetto di Desk Italia prenderà questa direzione o sarà l'ennesima sovrastruttura?
Il governo Letta ha mostrato grande conoscenza e sensibilità. Sinora Ice, Invitalia, Enit, Italia turismo hanno agito in maniera disarticolata e senza obiettivi precisi. "Destinazione Italia" sarà il pacchetto delle priorità che sarà presentato a settembre. Semplificare? Bene, decidiamo cosa e diamo tempi certi. Poi serve un'organizzazione con responsabilità precise – ciò che dovrà essere Desk Italia – cioè un ufficio che accompagni gli investitori nella miriade di controparti e che soddisfi la loro domanda di un interlocutore. La stessa cosa, ad esempio, dovrebbe avvenire all'Agenzia delle Entrate: un ufficio e personale dedicati, per sviluppare una relazione preventiva e continuativa con le imprese estere che consenta loro di capire e adempiere senza errori. Infine, le agenzie regionali, ove previste, devono essere "sportelli" operativi e dedicati al servizio delle imprese sul territorio.
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