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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2013 alle ore 06:48.

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PALERMO. Dal nostro inviato
C'è una foto, impietosa, scattata dai tecnici del governo Monti che su indicazione dell'allora ministro Piero Gnudi elaborarono il piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia, presentato nel gennaio del 2013. Il titolo chiarisce la missione e il retropensiero di chi l'aveva ispirato: "Turismo Italia 2020". E un sottotitolo ancora più eloquente: "Leadership, lavoro, Sud". L'idea era evidente: qual è il sistema più rapido ed efficace per dare slancio (e lavoro) al Mezzogiorno? Il turismo, naturalmente.
Lo scenario tratteggiato dal piano strategico era desolante: "i magneti" nazionali, così definiti dagli esperti, capaci di attirare i turisti stranieri sono quattro città (Roma, Milano, Firenze, Venezia), un lago (il Garda, amato dai tedeschi soprattutto sulle sponde trentine) e le Dolomiti. Se l'attrazione turistica si misurasse con il risultato di una partita di calcio, il Nord si aggiudicherebbe l'incontro per otto gol a due.
La Sicilia, ribattezzata dagli economisti della Fondazione Curella "l'isola del tesoro", relegata in fondo alla classifica. Una posizione acclarata da quella fotografia che citavamo all'inizio, la traduzione aritmetica dei voli settimanali tra la Germania, le isole Baleari e la Sicilia, che da sola certifica l'arretratezza strutturale dell'isola. Basta leggere i dati della settimana dal 16 al 22 luglio 2012: voli low cost Germania- Spagna 522, di cui 223 diretti alle Baleari. Voli low cost Germania-Italia 260, di cui solo 17 con destinazione Sicilia. Se pure qui si usasse la metafora calcistica, il risultato sarebbe impietoso: Ibiza, Maiorca, Minorca e Formentera battono la più grande isola italiana per 223 a 17. Uno scarto che non ammette repliche, e che dovrebbe spingere a ripensare alla radice il modello siciliano. Una materia spinosa che ognuno affronta a modo suo. Il governatore Rosario Crocetta, con le sue esternazioni estive in cui vagheggia di affidare all'Ast, l'azienda siciliana trasporti che gestisce con i suoi pullman i collegamenti tra le città isolane, la creazione di una nuova compagnia aerea: «Faremo una delibera di Giunta rivoluzionaria, quasi un atto insurrezionale contro il mercato monopolistico di Alitalia. Se Malta con 420 mila abitanti è riuscita ad avere una compagnia aerea e se Wind jet ha operato per un decennio abbiamo il dovere di crederci».
Proprio la parabola della compagnia aerea del presidente del Catania calcio Antonino Pulvirenti, affondata da una massa debitoria di quasi 140 milioni, dovrebbe indurre il governatore a più miti consigli. Anche Meridiana vive momenti terribili. La compagnia dell'Aga Khan non è scomparsa dallo scenario grazie a piani di ristrutturazione lacrime e sangue e agli assegni milionari che il principe ismaelita stacca periodicamente per rinsanguare le casse del vettore sardo appesantite da centinaia di milioni di perdite. Più che una compagnia aerea, ci vorrebbero delle politiche capaci di mobilitare energie imprenditoriali. In Sicilia la legge nazionale 106 del 2011 sui distretti turistici non è mai sbarcata. Il rito isolano celebrato dall'ex assessore al Turismo Daniele Tranchida – correva l'anno 2011 – ha scelto di frantumare l'isola in 26 distretti, quindici dei quali autocostituiti in base a una delimitazione geografica, undici organizzati dal punto di vista tematico. A scorrere l'elenco dei distretti qualche dubbio sorge. Diciamo che la fantasia e l'immaginazione hanno avuto la meglio. Che cosa tenga insieme un distretto tematico che si chiama "il mare dell'Etna" è difficile dire; così come i "borghi marinari" e gli "antichi mestieri" . Uno, nessuno e centomila. Poi si scopre che tutti i distretti attingeranno dal mare magnum del Por Sicilia 2007-2013, con una disponibilità di 24 milioni. Dunque, quasi un milione per distretto. Meglio di niente in tempi di crisi. La frantumazione dei distretti e delle risorse sembra più un criterio legato alla gestione del consenso che un modo per avviare quella governance sul turismo invocata da tutti. Dice Stefano Ceci, imprenditore turistico emiliano e consulente per la stessa materia dei governi di Centro-destra e Centro-sinistra: «Le cinque regioni dell'Obiettivo 1 (quelle in ritardo di sviluppo, ndr), puntano a spartirsi le risorse per la promozione turistica messe a disposizione dall'Unione europea. I distretti siciliani sono funzionali a questo disegno, in attesa di ricominciare a battere cassa non appena i soldi saranno finiti». Ceci ha un'idea che ridarebbe unitarietà alle politiche turistiche: «Ci vuole una task force interministeriale e a costo zero che in 12 mesi produca un piano di riordino e rilancio del settore».
Il governo Letta pensa di aver risolto il problema dislocando il turismo ai Beni culturali. La Sicilia, in forza della sua eclusivissima competenza, procede come sempre. E basta dare un'occhiata ai tre progetti presentati dal distretto del Sud-Est, il Val di Noto, propedeutici all'accesso dei fondi Por, per capire che poco o nulla è cambiato: c'è un piano per fornire ai turisti delle miniguide cartacee multilingue su itinerari, ristoranti e hotel; un altro che premia gli scrittori stranieri che dedicheranno un racconto al Sud-Est; un altro ancora mira a siglare intese con compagnie aeree low cost che in accordo con i tour operator offrano pacchetti turistici con tre notti minime di soggiorno per destagionalizzare l'offerta. Interventi che nei documenti della Regione siciliana passano sotto il nome pomposo di "azioni di sistema". Azioni spot e non sistemiche che a meno di un miracolo non creeranno un posto di lavoro e non cambieranno di una sola unità il risultato della partita dei voli dalla Germania verso le Baleari e la Sicilia: 223 a 17 era e resterà.

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