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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2013 alle ore 06:48.

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La bonifica dell'area di Taranto e l'applicazione di tutte le misure prevista dalla nuova Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per l'Ilva di Taranto valgono circa 4,5 miliardi di euro. Una cifra enorme, il più grande investimento degli ultimi trent'anni nel Mezzogiorno escluso lo stabilimento Fiat di Melfi.

Basta questo dato per capire come Taranto, e l'intera Puglia, giochino attorno all'adeguamento dello stabilimento siderurgico e alla bonifica ambientale una partita decisiva per il loro sviluppo. A patto che si mettano definitivamente da parte i pregiudizi ideologici e le reciproche diffidenze per coniugare il sacrosanto diritto all'ambiente degli abitanti di Taranto e dei dipendenti dell'Ilva con la continuità aziendale dell'impresa siderurgica e la salvaguardia di circa ventimila posti di lavoro, indotto incluso.

Ma c'è di più. I massicci investimenti previsti e appena avviati, se correttamente utilizzati, potranno cambiare in maniera definitiva Taranto. Con interventi che non siano solo conservativi, la città pugliese potrebbe diventare un modello di sviluppo compatibile con l'ambiente.

Non è un'utopia ma una strada già ampiamente tracciata in Europa. Basti pensare alle ex miniere della Ruhr diventate parchi ambientali e capaci di attrarre migliaia di turisti. O, per rimanere nel settore dell'acciaio, alla città di Linz, diventata un modello di sviluppo ambientale dopo essere stata la più inquinata d'Europa.

A Taranto ci sono le risorse per pensare in grande. Basterebbe che convergessero le volontà dell'impresa e delle istituzioni. Sarebbe il modo migliore per ricompensare la città delle ferite che le sono state inferte negli anni da un'acciaieria, che non bisogna dimenticarlo, è stata a lungo azienda di Stato.
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