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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2013 alle ore 06:49.

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PALERMO
Il conto lo ha fatto il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta: «In Sicilia – ha detto – stanno per arrivare investimenti per quasi due miliardi». Nel conto, ovviamente, gli investimenti annunciati da Lukoil per la raffineria Isab di Priolo e gli investimenti dell'Eni a Gela. E certo sarebbe una bella boccata d'ossigeno per un'economia locale che è ormai allo stremo. Soprattutto per l'industria che negli ultimi anni sembra essere stata l'ultimo dei problemi. I dati, diffusi appena all'inizio di luglio dalla Fondazione Res nel suo rapporto congiunturale, sono drammatici: il Prodotto interno lordo subirà nel 2013 una flessione del 3,8% che segue a una flessione del 2,7% del 2012. Più recentemente, invece, l'indice sulla competitività 2013 elaborato dalla Commissione europea boccia senza appello l'isola: la Sicilia è al 235esimo posto su 262. Peggio della Calabria.
La rappresentazione grafica delle imprese attive nell'isola dà il senso della drammaticità della situazione siciliana: dal 2007 al primo semestre del 2013 hanno chiuso i battenti quasi ventimila aziende. Altro dato: nel triennio 2008-2011 in Sicilia il valore aggiunto prodotto dal settore industriale e delle costruzioni è diminuito rispettivamente del 15% e del 27,6 per cento. «Gli investimenti produttivi – si legge nel rapporto Res curato dall'economista Adam Asmundo – si sono confermati l'elemento più fragile della domanda interna. La tendenza cedente cominciata nella seconda parte del 2011 prosegue in maniera invariata di segno sia nella componente macchinari e attrezzature, sia negli investimenti in costruzioni. Nella crisi in corso, la fiducia degli imprenditori rallenta e frena l'attività di investimento che anche nel 2013 dovrebbe registrare una flessione. Nel 2013 gli investimenti in macchinari e attrezzature registrerebbero, nelle previsioni, un nuovo rallentamento, dopo il netto progressivo cedimento degli anni precedenti».
Una diagnosi amara, quella di Res, cui si aggiunge un apparato burocratico ingessato: qualsiasi bando a valere dei fondi Ue necessita di almeno 263 passaggi burocratici prima di ottenere il via. E la politica fa sentire il suo perso sull'economia che a volte diventa opprimente: i bandi Ue, per esempio, necessitano di un passaggio nelle commissioni legislative di merito prima di ottenere il via libera. Quali siano le conseguenze è sotto gli occhi di tutti. Ovvio, dunque, che (per citare ancora il rapporto Res) le imprese siano sfiduciate e nell'analisi per «branca produttrice vi sia una riduzione degli investimenti nel settore manifatturiero, in particolare nei comparti della metallurgia, della meccanica, nel chimico-farmaceutico e della lavorazione del legno, della gomma e plastica e nell'ambito dei servizi, nel commercio, alberghi e ristoranti, sanità e altri servizi pubblici, sociali e personali». Serve un intervento deciso sulla macchina pubblica, dicono le parti sociali riunite nel Tavolo regionale permanente per lo sviluppo e il lavoro che ha avviato un dialogo costruttivo con il governo della regione.
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