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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2013 alle ore 06:50.

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Fiat, ora la partita è Mirafiori

TORINO - I tempi stringono per Mirafiori, mentre resta alta l'attenzione sulle vicende del Lingotto, all'indomani della decisione di reintegro delle Rsa Fiom in azienda ma, soprattutto, alla luce delle condizioni poste dal Lingotto per i futuri investimenti in Italia. «La certezza del diritto in una materia così delicata come quella della rappresentanza sindacale e dell'esigibilità dei contratti è una condicio sine qua non per la continuità stessa dell'impegno industriale di Fiat in Italia», dice il comunicato Fiat Chrysler di lunedì.

Il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio de Vincenti, ha chiesto ieri un nuovo incontro con Fiat, per ottenere chiarimenti sul «piano industriale in Italia e il mantenimento dell'impegno sugli investimenti». Questo nonostante a fine luglio i vertici del Lingotto avessero già incontrato il premier Letta. Il senatore del Pd Massimo Mucchetti ha annunciato che la Commissione Industria del Senato, «con una lettera ufficiale ha invitato l'ad della Fiat a venire a confrontarsi nel Parlamento».

Mirafiori resta il nodo centrale per più motivi, a cominciare dal fatto che proprio il plant storico della casa automobilistica è rimasto senza missione produttiva dopo la decisione di realizzare i due miniSuv, a marchio Fiat (500X) e a marchio Jeep, a Melfi. «Abbiamo sottoscritto un accordo con Fiat che prevede gli investimenti a Mirafiori. Su questo serve una risposta chiara da parte dell'azienda – sottolinea il segretario nazionale della Fim Cisl Ferdinando Uliano – e non siamo disposti a prolungare ulteriormente il periodo di cassa integrazione straordinaria per i 5.300 addetti che oggi lavorano sulla Mito, senza un impegno sugli investimenti».

Nodi che potrebbero sciogliersi già oggi, a Roma, dove potrebbe svolgersi l'incontro tra Fiat e sindacati firmatari del contratto. Un incontro atteso, per sciogliere il nodo sugli investimenti a Mirafiori, e necessario anche per definire la questione della richiesta di ulteriore cig per il polo di Torino, che ha alle spalle già 18 mesi di straordinaria per riorganizzazione, a 25 giorni dalla scadenza, come è prassi.

Dal punto di vista produttivo, in corsa per Mirafiori c'è la produzione del suv Maserati, oltre che gli sviluppi delle produzioni Alfa – in questo caso a cavallo tra Torino e Cassino. «Marchionne ha messo in discussione nelle settimane scorse la produzione futura dei modelli Alfa in Italia, ma la sua potrebbe essere solo tattica, nel quadro della trattativa con Veba. Speriamo sia così – sottolinea Claudio Chiarle, segretario generale della Fim torinese – anche perché una scelta del genere sarebbe un colpo mortale per Mirafiori. Oltre alla Mito resterebbe solo il suv Maserati, che da solo non basterebbe a salvare Mirafiori». Questo è il momento di parlare degli investimenti, ha rimarcato ieri il segretario della Fiom Maurizio Landini: «Non è più tollerabile trovare scuse a cui attaccarsi per non investire in Italia e nel frattempo investire all'estero».

Il polo torinese del Lingotto, con un potenziale di produzione sulle 300mila vetture, ha sfornato nei primi sei mesi dell'anno 11mila Mito. Dal 2009 al 2012 la produzione è passata da oltre 178mila vetture a 41.600, con un 2013 che chiuderà, secondo le stime sindacali, sui 20mila esemplari. Insomma, una corsa contro il tempo in cui si incrociano questioni puramente industriali, come gli investimenti e la costituzione del polo del lusso da parte del Lingotto, che potrebbe riunire sotto un unico ramo aziendale Mirafiori e le Officine Maserati di Grugliasco, questioni sindacali, come il rientro delle Rsa Fiom in casa Fiat – la prossima settimana in calendario la riunione della Fiom con i legali e poi il coordinamento delle rappresentanze Fiat –, oltre che il dibattito in corso sulla legge per la rappresentanza. Senza dimenticare un convitato di pietra, il mercato: Fiat non investe in Italia «per le condizioni, pessime, del mercato italiano prima ancora che per ragioni sindacali, che hanno comunque il loro peso», osserva Giuseppe Berta, professore di Storia contemporanea alla Bocconi .

La possibilità di un ridimensionamento dell'impegno della Fiat sul Lingotto preoccupa, e non poco, la politica e l'economia territoriale. Con i rischi per l'occupazione diretta, l'indotto e la gestione delle aree. Come ha insegnato la vicenda Tne – , la società Torino Nuova Economia nata nel 2005 per gestire i 300mila mq ceduti da Fiat alle istituzioni locali per 67 milioni – la missione della riqualificazione delle aree è tutt'altro che semplice. A fine luglio la prima vendita di una parte del lotto B alla Tecnocad, azienda del torinese specializzata nella progettazione di componenti in plastica per l'automotive. Un primo passo, come ha sottolineato l'ad di Tne Davide Canavesio, «nel percorso di rilancio dell'automotive».
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