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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2013 alle ore 11:00.
L'ultima modifica è del 05 settembre 2013 alle ore 11:00.

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Il commercio elettronico è una sfida importante per le imprese italiane ma esistono ostacoli di natura normativa che ancora ne frenano lo sviluppo. Le norme italiane di riferimento risalgono ormai a quasi 15 anni fa, un periodo eterno se raffrontato allo sviluppo prorompente del web. Con due circolari del 2000 l'allora ministero dell'industria tentava di regolamentare, in una forma del tutto embrionale, la disciplina del commercio elettronico e delle aste online.

Oggi risultano fortemente antiquate, come la norma che impone al commerciante online di tenere separate le due zone del proprio sito web se la vendita avviene al dettaglio o all'ingrosso. Una disposizione modellata sulla classica attività di un negozio, che ha poco senso se il commercio è "virtuale". La stessa disciplina delle aste online è penetrante e modellata su quella delle vecchie case d'asta ed è pensata prima dell'esplosione di ebay, alle cosiddette aste al ribasso e alle vendite di servizi come groupon e groupalia.

In realtà, anche le norme comunitarie, da noi recepite con il decreto legislativo 70/2003 sul commercio elettronico mostrano ormai la corda. Ad esempio, è prevista una procedura di conclusione del contratto, attraverso reti telematiche, basata su uno scambio plurimo di risposte e di loro accettazione, che poi nella prassi non ha trovato alcun riscontro, perché la stessa prassi è influenzata dalle pratiche commerciali anglosassoni, più snelle e antiformalistiche. Alcune norme poi prevedono forme di responsabilità anacronistiche per gli intermediari della rete, quali gli internet service providers. I limiti fiscali stanno poi facendo il resto. Diversamente dalle grandi multinazionali della rete o del software, la pmi italiana non riesce ad adottare strumenti di pianificazione fiscale intracomunitaria in grado di abbattere i costi fiscali. Prassi che, peraltro, è sotto la lente di ingrandimento di diversi regolatori europei proprio in relazione alle grandi multinazionali della rete.

I costi di produzione spingono poi molte pmi a vendere anche online i propri prodotti stabilendosi in Paesi vicini, piuttosto che mettere in piedi un sistema di commercio elettronico con una stabile organizzazione in Italia che sconta costi fiscali molto elevati. Senza contare poi che una delle leve del commercio elettronico, ovvero la logistica per la delivery dei prodotti tradizionali ha costi molto elevati per le pmi. È evidente come il sistema commerciale online del nostro Paese sia indietro, dal punto di vista dell'assetto commerciale e delle norme, rispetto ad altri Paesi, pur essendo il mercato italiano molto promettente, ad esempio nell'e-mobile commerce.
Sarzana e Associati

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