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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2013 alle ore 15:23.
In questi ultimi scampoli d'estate diversi tasselli sembrano ricomporsi aiutando a intravedere un orizzonte per la nostra economia sfibrata dalla recessione. Non bisogna cedere ai facili entusiasmi, ma sicuramente l'annuncio dell'investimento da un miliardo che Fiat intende attuare a Mirafiori è un effettivo punto di svolta. Intanto perché significa mantenere radici intelligenti a un manifatturiero che continua ad aver bisogno dello "zoccolo duro" dell'industria. Nonostante, purtroppo, il traballante mercato dell'auto in Europa e l'ancor più incerto quadro politico e istituzionale.
Sergio Marchionne pensa positivo. Il top manager italo-canadese prende carta e penna e scrive tre fitte pagine «a tutte le persone dello stabilimento di Mirafiori». Chiama al gioco di squadra («continuate a tenere fede agli impegni presi nel con tratto»); parla di «atto di coraggio contro il declino» e di «gesto di fiducia verso il futuro». È realistico, ma aggiunge che non si può più aspettare e che serve certezza normativa (e se si partisse dal protocollo del 31 maggio, come suggeriscono fior di giuslavoristi, non sarebbe un buon inizio?).
Fatto sta che c'è la voglia di mandare al Paese «un segnale forte di speranza e di impegno». Cosicché, anche le scelte sulla futura sede legale della casa automobilistica – ormai multinazionale globale che ci abituerà a parlare inglese alla catena di montaggio – diventa meno opprimente pur non conoscendo gli esiti della disputa giudiziaria con il potente sindacato americano, da cui dipenderà il tipo di fusione con Chrysler. Le stesse scelte su Cassino si scaricano un po' di tensione.
C'è stata apertura alla Fiom. Ora serve grande responsabilità da parte di tutti. Meno ideologia, relazioni industriali e rappresentanze moderne, aperte, leali. Ci vuole ancora un sforzo. Uno scatto. Deve cambiare mentalità una certa Torino. Deve cambiare mentalità una certa, vecchia, Italia.
@FAntonioli
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