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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2013 alle ore 06:52.

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MILANO
Dopo gli altiforni, si fermano anche per i forni elettrici. La famiglia Riva decide di cessare tutte le attività degli impianti di produzione elettrosiderurgica (vale a dire acciaio ottenuto in un forno elettrico). È il cuore pulsante del gruppo, si tratta delle attività dislocate nel Nord Italia, avviate a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, il segmento di specializzazione nella produzione di prodotti lunghi che ha preceduto la stagione di acquisizione dell'Ilva di Taranto.
Nel 2012 la produzione di questi stabilimenti, raggruppati sotto la holding Riva Forni Elettrici (una nuova denominazione adottata nel 2013), è stata pari a 7,8 milioni di tonnellate. Gli asset comprendono, oltre ad alcuni siti produttivi dislocati fuori dai confini italiani (non interessati dal sequestro), sei stabilimenti italiani dove si realizza sia materiale di minor pregio (tondo da cemento armato, vergella) sia prodotti a valore aggiunto (acciai speciali da costruzione e laminati). In tutti questi sei siti è stata sospesa al momento l'attività, insieme alle prestazioni lavorative di 1.400 dipendenti (già in queste ore il sindacato sta avviando confronti territoriali per studiare l'accesso ad ammortizzatori). Si tratta, nel dettaglio, dello storico stabilimento di Caronno Pertusella, in provincia di Varese, da dove Emilio Riva, nel 1956, avviò la prima produzione d'acciaio, e il sito di Verona, di Lesegno (Cuneo), di Annone Brianza (Lecco). Stop anche ai tre stabilimenti in Vallecamonica (Brescia). Insieme a questi si fermano le attività dei servizi e dei trasporti (Riva Energia e Muzzana Trasporti).
«È un problema serio sul quale dobbiamo ragionare, dobbiamo assolutamente uscire da questa situazione, perchè 1.400 posti che si perdono nel nostro Paese sono un altro colpo drammatico; credo che ci voglia un po' di buonsenso per discutere e trovare delle soluzioni in maniera equilibrata» ha detto Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria.
Una crisi che potrebbe avere conseguenze su tutta la manifattura italiana. «Il fermo della produzione – si legge in un nota di Viale Astronomia - avrà un impatto negativo sull'occupazione e su tutti i settori direttamente ed indirettamente collegati alle produzioni siderurgiche, peraltro in una fase particolarmente delicata per la nostra economia. Confindustria - continua la nota - auspica che, in un clima meno esasperato, sia possibile trovare una soluzione che garantisca l'occupazione e l'attività industriale».
La decisione della famiglia è stata comunicata ieri a Mario Tagarelli (il custode giudiziale di tutti i beni sequestrati ai Riva) e illustrata ai rappresentanti sindacali di ogni singolo stabilimento interessato. Per i Riva, come si legge in una nota dell'azienda, lo stop all'attività è una scelta “necessaria”, poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del Gip di Taranto, comunicato lunedì scorso, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio (la holding a sua volta controllata da Riva Forni Elettrici) i cespiti aziendali e sequestrati i saldi attivi di conto corrente, «impedisce il normale ciclo di pagamenti aziendali e fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività». Riva Acciaio ha comunicato che impugnerà il provvedimento di sequestro: «Tali attività – si legge ancora nella nota - non rientrano nel perimetro gestionale dell'Ilva e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie dell'Ilva di Taranto».
I dirigenti degli stabilimenti siderurgici Riva nel Nord Italia temevano questa situazione già a inizio estate. A giugno i Riva, colpiti dal sequestro dell'attivo della controllante, avevano già avuto qualche difficoltà nel pagamento degli stipendi. Ma la società era riuscita a mantenere un equilibrio grazie a quanto generato nell'operatività quotidiana.
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LA LETTERA
La lettera di Riva acciai
La lettera a Mario Tagarelli, il custode dei beni sequestrati alla famiglia Riva, che comunica la chiusura degli impianti

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