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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2013 alle ore 17:00.

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Ilva, la Procura di Taranto: nessun divieto all'uso dei beni sequestrati - Squinzi: industria appesa a un filo

di Domenico Palmiotti

Non è a rischio la continuità produttiva delle 13 società del gruppo siderurgico Riva, tra cui sette stabilimenti industriali, i cui beni, conti correnti e partecipazioni azionarie sono finiti sotto sequestro nei giorni scorsi a seguito del provvedimento emesso dal gip di Taranto, Patrizia Todisco, nell'ambito dell'inchiesta che vede i vertici dell'Ilva (la famiglia Riva) accusati di disastro ambientale. Lo dice il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, in una nota nella quale cerca di fare chiarezza soprattutto dopo le polemiche che da giorni stanno investendo i giudici di Taranto.

Sebastio in una nota diffusa dalla Guardia di Finanza, che ha effettuato materialmente il sequestro, fissa una serie di punti chiave. In primo luogo, chiarisce che i beni sequestrati "verranno immediatamente affidati all'amministratore giudiziario nominato a suo tempo dal giudice proprio allo scopo di garantire la loro gestione, sì da prevenire effetti negativi sulla prosecuzione dell'attività industriale". Sarà dunque il commercialista di Taranto, Mario Tagarelli, già presidente provinciale dell'Ordine professionale, ad occuparsi di questi beni. Tutto ciò "allo scopo di evitare pregiudizi per la loro operatività" sottolinea Sebastio, il quale ricorda che questo già sta avvenendo per i beni sequestrati a maggio, quando ci fu il primo provvedimento del gip. La nomina di ausiliari dell'autorità giudiziaria, oltrechè prevista dal Codice, afferma il procuratore, è mirata proprio a "garantire la continuità produttiva dell'azienda". Inoltre, "il provvedimento di sequestro non prevede alcun divieto d'uso" e "lo stesso custode-amministratore è autorizzato ex lege a gestire eventuali necessità di ordine finanziario". Da rilevare che il gruppo Riva, subito dopo la stretta giudiziaria, ha fermato le attività, chiuso gli stabilimenti, tutti al Nord, e dichiarato 1.400 esuberi per i quali ora si ricorrerà alla cassa integrazione. Non una scelta ma un atto dovuto, dice il gruppo Riva. Mentre ora il procuratore sottolinea che non c'è alcun divieto.

In quanto al sequestro ultimo, non è affatto un fulmine a ciel sereno perchè, specifica il procuratore, "le attività in atto" - e si riferisce proprio a quanto i finanzieri hanno messo in questi giorni sotto chiave - "derivano dalla esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente emesso il 22.05.2013 dal gip del Tribunale di Taranto su richiesta di questa Procura ai sensi del decreto legislativo 231/2001" (responsabilità amministrativa delle imprese). Come dire: quanto abbiamo sequestrato ora, altro non è che l'estensione e l'ampliamento di quanto avevamo cominciato a fare mesi addietro. Infatti, dice il procuratore, il provvedimento di maggio - peraltro confermato dal Tribunale del Riesame - riguardava Riva Fire spa, Riva Forni Elettrici spa e Ilva spa, ma comunque "prevedeva la sua estensione anche ad ulteriori società controllate, collegate o comunque sottoposte all'influenza dominante" delle stesse. E alle società ora finite nell'orbita dell'ultimo sequestro si è giunti attraverso il lavoro (l'individuazione dice Sebastio) dell'amministratore giudiziario, appunto Tagarelli, e della Guardia di Finanza.

Il procuratore ridimensiona anche le cifre del sequestro, che è stato "preventivamente stimato in 950 milioni di euro sulla base delle poste patrimoniali indicate nei bilanci delle società colpite dal provvedimento" ma in concreto "attualmente sono stati attinti cespiti per un importo complessivo di circa 600 milioni di euro". Ben trecentocinquanta milioni sotto rispetto quello che si prevedeva di sequestrare. D'altra parte, anche il provvedimento di maggio del gip parla di 8,1 miliardi di euro ma a conti fatti si è sotto i 2 miliardi, gran parte dei quali sono immobili. E anche ora su 593,775.657 euro di beni "bloccati", la parte liquida ammonta a soli 49.094.482 milioni, "cioè meno del 10 per cento di quanto sequestrato".

Il gip ha ordinato questo sequestro sulla base della perizia consegnatagli dai propri consulenti, i quali hanno stimato che per risanare il siderurgico di Taranto dall'inquinamento e dai danni ambientali servono appunto 8 miliardi. Da rilevare, infine, che dai sequestri di maggio e dall'attuale è escluso il siderurgico di Taranto in quanto "salvaguardato" dalla legge 231 del 2012 che ne tutela la continuità produttiva ai fini degli interventi di risanamento ambientale previsti dall'Aia. L'Ilva di Taranto, così come l'Ilva di Genova e Novi Ligure, è affidata al commissario Enrico Bondi, nominato con decreto dal Governo lo scorso 4 giugno, poi convertito nella legge 89 del 3 agosto scorso.

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