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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2013 alle ore 06:54.

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Mose dividerà le acque nel 2016

Sull'acqua o sott'acqua? La città liquida venerata nel mondo si macera sulla sua sopravvivenza dall'alluvione del 4 novembre 1966, la più catastrofica degli ultimi secoli. L'effetto congiunto di eustatismo (innalzamento del livello dei mari) e subsidenza (sprofondamento progressivo causato da estrazione di acqua e gas), dovrebbero suggerire un'orazione funebre per Venezia e la sua decomposizione.

Indro Montanelli, che della città lagunare era un appassionato, suggerì di affidarne le sorti a un comitato internazionale. Non se ne fece nulla. Nel 1984 il Parlamento italiano, con i tempi di reazione che gli sono propri, vara una legge speciale per Venezia, che concentra tutti i poteri per la salvaguardia della Laguna a una società, il Consorzio Venezia Nuova, braccio operativo del ministero dei Lavori pubblici. Una scelta neocentralista e tardiva (le Regioni esistevano già da dieci anni) ma che ha il pregio della chiarezza. Dovrebbe essere un punto di arrivo, invece si scatena una guerra locale e globale su come proteggere la Serenissima dalle maree.

Premessa indispensabile: i veneziani sono una razza a se stante e in via di estinzione (meno di 60mila abitanti anziani, snob, ecologisti a parole e di fede progressista), sommersi dall'invasione di oltre 20milioni di turisti all'anno. Un vascello rosso, Venezia, in un mare bianco, la vandea veneta; la New York italiana, Venezia, passerella della upper class più colta e influente del pianeta, annegata in un'eterna lite di condominio. Inutile scomodare le baruffe chiozzotte di Goldoni, ma il dibattito si potrebbe riassumere con un paio di imperativi usciti dalle bocca di due personaggi che a Venezia contano. Massimo Cacciari, filosofo e plurisindaco per lignaggio e costrizione, ma mai per vocazione (una volta, a proposito di lotte fratricide, si candida controvoglia solo per impedire l'elezione dell'altro aspirante primo cittadino di sinistra, il magistrato Felice Casson), se la cavò con una battuta rimasta negli annali: «C'è l'acqua alta? Mettetevi gli stivali!». Fausto Bertinotti, che nella seconda metà degli anni '90 si affannava ad arginare la marea leghista con comizi estivi a campo San Polo, opta invece per la scomunica ideologica: «Chi vuole il Mose non è di sinistra!».

Il Mose, Modulo sperimentale elettromeccanico, è l'acronimo che indica le 78 paratie mobili alle tre bocche di porto di Malamocco, Lido e Chioggia; in caso di alta marea, le paratie si alzeranno e con un fronte di 1,6 chilometri chiuderanno le bocche di porto saldandosi con i murazzi, la linea di difesa in pietra d'Istria eretta dagli ingegneri della Serenissima, che separa la Laguna dall'Adriatico. Detta così sembra una soluzione ingegneristica come un'altra. In realtà, alcuni tra i migliori cervelli ed esperti di idraulica elaborano un progetto che lo Stato, attraverso il ministro dei Lavori pubblici e la benedizione dell'organo politico che lo sovrintende, il Comitatone (con a capo il presidente del consiglio di turno e la partecipazione dei ministri competenti in materia, oltre al sindaco di Venezia e il governatore del Veneto), decidono di finanziare. Sembra un percorso da Paese normale. Ma l'Italia (e Venezia) non sono poi così normali. Per una volta i premier si mostrano coerenti, nessuno escluso: da Romano Prodi a Silvio Berlusconi, da Giuliano Amato a Enrico Letta. Il ragionamento è ineccepibile: dobbiamo difendere la città che il pianeta ci invidia, i tecnici hanno individuato una soluzione innovativa che garantisce di stroncare il fenomeno delle acque eccezionali fino a 3 metri (l'acqua granda del 1966 toccò 194 centimetri), si dia inizio alla costruzione. Siamo sul finire degli anni Ottanta. Ci vorranno tredici anni buoni prima che il Mose passi il vaglio di un'opposizione granitica che troverà un ostacolo quasi insuperabile nella commissione costituita presso il ministero dell'Ambiente presieduta da Maria Rosa Vittadini (docente allo Iuav di Venezia) per valutare lo studio d'impatto ambientale. Un gruppo di esperti al quale, su proposta del Comune di Venezia, in quegli anni guidato da Cacciari, viene affiancata una commissione di studiosi internazionali che assicurino un giudizio super partes.

Il risultato è paradossale: il ministero dell'Ambiente dice no, l'opera non s'ha da fare perché altera in modo grave e irreversibile l'ecosistema lagunare (posizione degli ambientalisti: sì alla salvaguardia della laguna, no alle maxiopere); gli esperti internazionali approvano, ma con sette prescrizioni; il ministro dei Lavori pubblici ribadisce la bontà del progetto, mentre a un certo punto entra in scena il Tar che su sollecitazione della Regione boccia il parere negativo del dicastero dell'Ambiente per vizi sostanziali. Un caos.

Il presidente del Consiglio dei ministri – siamo al marzo 2001, governo Amato – chiede una sorta di supplemento d'indagine. Si stabilisce la costruzione di opere complementari (conca di navigazione e adeguamento del canale dei petroli) dalle quali scaturiranno inevitabili aumenti di costo.

Il 3 aprile 2003 arriva il definitivo via libera del Comitatone, preceduto dallo stanziamento del Cipe di una prima tranche di fondi. I lavori iniziano ma si procede per stop and go. Gli scontri tra i sostenitori e i nemici del Mose non si arrestano. Lo Stato ci mette del suo e finanzia la grande opera a intermittenza. Il Consorzio bypassa ricorrendo a prestiti ponte con garanzia della Bei.

Nel frattempo, l'azione di salvaguardia della laguna non si è mai fermata: si alzano pezzi interi di sestieri veneziani come i Tolentini, la riva delle Zattere, della Giudecca e delle fondamenta nuove, si ricostruiscono 45 chilometri di nuove spiagge e 1.610 ettari di barene, isolotti lagunari essenziali per l'idrodinamica lagunare, si mette in sicurezza il campanile di San Marco con barre di titanio. Ma a Venezia i colpi di scena – è l'insostenibile protagonismo della storia – sono sempre in agguato. Nel luglio di quest'anno entra in campo la magistratura: Giovanni Mazzacurati, ingegnere e direttore storico del Consorzio è costretto ai domiciliari, e poi rilasciato, con l'accusa di turbativa d'asta. La parola è ai tribunali, ma fortunatamente il 9 settembre il Cipe sblocca 973 milioni dei 1.092 previsti per arrivare al traguardo finale. Se non ci saranno intoppi, a dicembre 2016 dall'isola Novissima del Lido a Malamocco e Chioggia si solleveranno le 78 paratie mobili che impediranno l'ingresso dell'Adriatico in laguna.

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