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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2013 alle ore 06:53.

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ROMA
Annunciato a metà della scorsa settimana dal ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, «frenato» venerdì scorso dopo il vertice a Roma col gruppo Riva e il custode giudiziario, rilanciato tra sabato e domenica e infine ieri dato per imminente dallo stesso Zanonato, secondo il quale il Consiglio dei ministri l'avrebbe varato nella seduta del pomeriggio. È nato un giallo attorno al decreto legge che, modificando la norma del Codice sul sequestro preventivo, dovrebbe sbloccare la situazione dei sette stabilimenti industriali del gruppo siderurgico Riva (tutti al Nord) fermi da diversi giorni, e con 1.300 operai in libertà, a seguito del sequestro di beni e conti ordinato dal gip di Taranto nell'ambito dell'inchiesta sull'inquinamento dell'Ilva.
L'atteso decreto, che sindacati e Federacciai sono tornati a sollecitare, non solo ieri non ha visto la luce ma nemmeno si è svolto il Cdm che Zanonato aveva annunciato in mattinata. Il provvedimen to, forse, potrebbe essere adottato oggi pomeriggio. Riguarderebbe non solo il capitolo Riva ma anche l'Ilva «governata» dal commissario Enrico Bondi. In buona sostanza: da un lato il Governo, modificando il Codice e introducendo l'articolo 103 ter, vuole evitare che un sequestro preventivo effettuato nei confronti di un'azienda, la condanni anche al blocco totale mettendo a repentaglio produzione e posti di lavoro. Dall'altro, intervenendo di nuovo sull'Ilva, il governo vuole ricondurre sotto le competenze di Bondi anche quelle aziende controllate dall'Ilva stessa, ma oggi al di fuori del perimetro operativo del commissario. L'agibilità dei conti bloccati – sui quali vi è una disponibilità di circa 50 milioni – è stata la questione che prioritariamente nel vertice di venerdì a Roma con Zanonato e il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, l'amministratore unico di Riva Acciai, Cesare Riva, e il rappresentante del gruppo Riva, Bruno Ferrante, hanno posto al custode giudiziario e amministratore dei beni, il commercialista di Taranto, Mario Tagarelli. Quest'ultimo, in raccordo con l'autorità giudiziaria, si è impegnato a dare una risposta alle richieste del gruppo, per il quale lo sblocco dei conti è l'elemento immediato che non solo può permettere di pagare dipendenti e fornitori (e forse convincere le banche a ripristinare gli affidamenti revocati), ma anche consentire il riavvio degli impianti. Anche perché non è che le aziende finite sotto sequestro non abbiano ordini di lavoro. Proprio ieri il custode Tagarelli ha consegnato la sua relazione al procuratore di Taranto, Franco Sebastio.
L'urgenza del decreto è stata sottolineata ieri di nuovo da Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, parlando di «emergenza sociale». Ci sono «1.400 addetti senza lavoro, fornitori e clienti sull'orlo della chiusura delle loro attività», dice Gozzi: «Bisogna che gli impianti della Riva Acciaio riprendano a funzionare in tempi rapidissimi, contiamo sul senso di responsabilità e la sensibilità del governo. Nelle more dell'emergenza economica e sociale, crediamo che il decreto possa rappresentare comunque la soluzione più immediata e dunque efficace». Premono per il decreto anche i sindacati metalmeccanici che stamattina alle 10 terranno una manifestazione a Verona con i lavoratori degli stabilimenti Riva soggetti ai sigilli giudiziari. Tappa conclusiva piazza dei Signori sotto la Prefettura.
Il governo Letta sta rimettendo mano anche alla questione Ilva. Bondi – che oggi vedrà i vertici di Fim, Fiom e Uilm in una riunione riservata – è preoccupato che le aziende controllate da Ilva e ora finite nel sequestro, possano mettere a rischio il lavoro di risanamento e rilancio che sta facendo in qualità di commissario. Il riferimento è a «Taranto Energia», Ilvaform di Salerno, Ilva Servizi Marittimi di Genova, Sanac, Innse di Brescia, tutte aziende funzionali al siderurgico di Taranto. Già giorni fa, per esempio, Bondi ha dovuto anticipare come Ilva gli stipendi ai 111 addetti di «Taranto Energia» che gestisce la centrale elettrica del siderurgico e che si è trovata con i conti bloccati. Ma così come è importante la centrale, senza la quale si ferma l'area a caldo, così sono importanti le altre aziende, ed ecco perchè il decreto ricondurrebbe al commissario anche le controllate. In sostanza, si farebbe quanto avvenuto mesi addietro, quando, in fase di conversione del decreto legge 61 si affidò a Bondi tutta l'Ilva, siti di Genova e Novi Ligure compresi, e non solo lo stabilimento di Taranto.
Sul fronte giudiziario, infine, ieri il Tribunale del Riesame di Taranto ha mandato ai domiciliari quattro dei cinque «fiduciari» di Riva (il cosiddetto «governo ombra» della fabbrica) arrestati il 6 settembre con l'accusa di associazione a delinquere. Si tratta di Giovanni Rebaioli, gestore dell'area Parchi materie prime e impianti marittimi dell'Ilva; Agostino Pastorino, responsabile dell'area ghisa e di tutti gli investimenti nell'Ilva; Enrico Bessone, responsabile dell'area manutenzione meccanica delle acciaierie; Alfredo Ceriani, responsabile area a caldo.
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