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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2013 alle ore 07:17.

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Alitalia, perdite a 300 milioni. Oggi Cda decisivo

Alitalia ha perso quasi 300 milioni di euro nel primo semestre, secondo quanto riferito al Sole 24 Ore da fonti autorevoli alla vigilia del consiglio di amministrazione di oggi. La compagnia è in crisi di liquidità e la relazione semestrale dice che se non entreranno in cassa con urgenza soldi freschi sarebbe a rischio il pagamento degli stipendi dei 14mila dipendenti. Per evitare questo rischio è in discussione una manovra da circa 500 milioni, di cui 200 di aumento di capitale e 300 di nuovi prestiti bancari, ma non c'è accordo tra i soci né con le banche.

Sono cifre drammatiche quelle che verranno esaminate oggi dal consiglio di amministrazione presieduto da Roberto Colaninno. Il passivo del primo semestre, che sarà ufficializzato oggi, in forte peggioramento rispetto al rosso di 201 milioni della prima metà del 2012, è la perdita semestrale più alta dal 2009, da quando esiste l'Alitalia-Cai dei soci privati chiamati da Silvio Berlusconi nel 2008. La compagine fu organizzata da Intesa Sanpaolo, allora guidata da Corrado Passera, in una «operazione di sistema», come è stato anche l'intervento di Telco nella Telecom che oggi mostra i suoi limiti.

In seguito alla perdita il patrimonio netto consolidato di Alitalia, cioè il capitale residuo, è negativo per quasi 100 milioni. Questo rende più urgente la ricapitalizzazione, necessaria anche per superare le difficoltà di cassa.

La manovra allo studio prevede un intervento complessivo di circa 500 milioni. Non si tratta di grandi cifre, ma Alitalia ha già accumulato un miliardo di perdite nette dal 2009 al 2012 e fatica a ottenere la fiducia dei suoi soci e delle banche. E solo a livello di risultato operativo dal 2009 a oggi le perdite hanno raggiunto un miliardo.

Tra i «patrioti» – così Berlusconi definì i soci italiani chiamati per respingere un'offerta presentata da Air France-Klm al governo Prodi – c'è aria di disimpegno. Molti non sembrano disposti, per volontà o per difficoltà, a rispondere alla chiamata di versare altri 200 milioni di capitale (lo schieramento del "no" avrebbe circa il 50% del capitale, compresi il gruppo Riva che ha il 10,6% e Intesa Sanpaolo che ha oltre il 10%). Altri 300 milioni vengono chiesti alle banche. Queste, già molto esposte con la compagnia, hanno posto come condizione prima di espandere il credito che i soci aprano il portafoglio e ricostituiscano il patrimonio perduto.

In quest'incertezza alcuni soci sperano nell'intervento di Air France-Klm, il primo azionista con il 25% che nel 2009 rientrò nella partita Cai versando 323 milioni. A Parigi sono molto interessati al mercato italiano, ma non vorrebbero accollarsi oneri e debiti. Ad Air France basterebbe sottoscrivere la sua parte dell'aumento, cioè circa 50 milioni sui 200 richiesti e, in difetto della sottoscrizione di molti altri soci, si troverebbe con almeno il 50% dell'Alitalia. Da Parigi è trapelato che prima di nuovi esborsi deve essere chiarita la situazione economica di Alitalia e che Air France non vuole accollarsi il debito del passato. Secondo Les Echos Air France-Klm potrebbe decidere «molto rapidamente» su un aumento della quota in Alitalia se verrà raggiunto un accordo con le banche per spalmare il debito e per individuare i fondi necessari al piano di ristrutturazione. «Non abbiamo però informazioni sufficienti per poter prendere una decisione», ha scritto il giornale francese citando un anonimo manager di Air France-Klm.

È in corso un braccio di ferro tra i soci e con le banche, è possibile che oggi non sia la giornata decisiva. In disparte tra i soci Carlo Toto, che ha preso le distanze dalla gestione Cai. Tra i politici Mario Monti ha detto che è stato «un errore non aver venduto prima ad Air France, per un orgoglio nazionale che non si è mai trasformato in interesse nazionale. Il risultato, a distanza di qualche anno, è aver ottenuto una condizione sfavorevole per l'Italia». Fare l'operazione Cai, anziché accettare allora l'offerta di Air France (oltre a Berlusconi, nel 2008 si opposero anche la Cgil di Epifani e la Cisl di Bonanni), è costato alla collettività più di 3 miliardi di euro.

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