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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2013 alle ore 23:13.

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Quello che si apre oggi a Genova è un Salone che rispecchia con realismo lo stato della nautica italiana. Acciaccata, ma ancora fiera e consapevole delle proprie potenzialità. Certo, sono state sprecate occasioni. Molti non hanno voluto riconoscere le avvisaglie della crisi, illudendosi di restarne indenni: del resto i cantieri italiani erano i campioni dei superyacht e i super-ricchi non sono spariti, hanno solo mutato indirizzo e latitudini.

Anche la scommessa sulla finanza è stata pagata a caro prezzo. Il private equity non è stato la panacea che prometteva.

Ma é tempo di voltare pagina. Partendo da una precisa, seppure amara, radiografia del settore. I cantieri italiani hanno retto meno bene alla crisi rispetto ai concorrenti inglesi e francesi. Dieci anni fa il comparto valeva complessivamente 6,5 miliardi, ora meno della metà e se si escludono le attività commerciali il bilancio è ancora più magro. Un mercato, secondo molti addetti ai lavori, «ridotto ai minimi termini». A cui hanno dato un colpo mortale errori e scelte avventate del legislatore. Che hanno avuto l'effetto di allontanare dalle coste italiane gli armatori stranieri e spaventare i clienti italiani. Il Governo ha rimediato, ma quei tre mesi di confusione sono bastati a creare un danno ingentissimo.

Ora le cose sono state rimesse a posto. L'odiata (e inutile) tassa di stazionamento è sparita. La tassa di possesso è stata dimezzata e non è applicabile alle imbarcazioni inferiori ai 14 metri. Sotto ai dieci metri non c'è più obbligo di immatricolazione. E attualmente abbiamo un'Iva più bassa dei francesi. Persino il redditometro non dovrebbe più far paura: la barca è equiparata ad altri beni, é come una casa, un'auto, i gioielli, non viene più penalizzata.

E allora perché il mercato stenta a ripartire? Al netto di una crisi ancora severa, probabilmente è mancata una comunicazione efficace di questo "nuovo corso". Il legislatore non penalizza più i proprietari di barche ma molti di questi non se ne sono ancora accorti. E continuano a ormeggiare le proprie imbarcazioni in qualche porto della Costa Azzurra o in Croazia e non le cambiano con un nuovo modello per paura del Fisco.

Il Salone che apre oggi a Genova può essere una straordinaria vetrina della vitalità del settore, della capacità di reinventarsi e investire. Per questo sono poco comprensibili le polemiche sollevate da più parti sui costi sostenuti per "disegnare" la fiera nautica secondo i nuovi parametri: spazi più ridotti, quattro giorni in meno rispetto al passato, due padiglioni in meno. Un Salone ridimensionato secondo le esigenze degli espositori e i nuovi perimetri di mercato non doveva diventare un salone "povero". Deve essere al contrario strumento di comunicazione di una rinnovata fiducia.

Per ripartire. Con tenacia e rinnovata fiducia nel proprio valore. Ai cantieri italiani resta il primato della creatività, dello stile, dell'innovazione. Ci sono marchi prestigiosi che mantengono la leadership nel mondo. Dei due grandi campioni nazionali uno è ancora saldamente nelle mani del fondatore. L'altro ha ritrovato stabilità finanziaria con la nuova proprietà cinese. Altri ancora si sono rivolti alla Cina per proseguire il proprio cammino. Per i "piccoli" la strada è più impervia ma un refolo di ripresa sembra spirare. Genova, speriamo, sarà il giro di boa.

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