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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2013 alle ore 15:54.

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Qualche sera addietro, un servizio televisivo di "Striscia la notizia" spiegava come in Gran Bretagna, nonostante l'intervento delle autorità giudiziarie, prosegua la vendita di confezioni di acqua e polverine per preparare un vino (?) che di italiano ha solo un nome storpiato e il Tricolore.
Ormai non c'è fiera o manifestazione internazionale dove non scattino sequestri di prodotti contraffatti o falsi più o meno palesi: dall'abbigliamento, all'arredamento, della meccanica all'elettronica, fino all'alimentare. I prodotti alimentari italiani vantano purtroppo una lunga e consolidata tradizione di contraffazione su tutti i mercati del pianeta. E il fatto che all'Anuga di Colonia, una delle più importanti fiere alimentari di livello mondiale, i sequestri riguardino prodotti scopiazzati non più dai soliti cinesi ma da aziende europee, spiega come il livello di questo pessimo fenomeno commerciale sia elevato.

Purtroppo tutto ciò dimostra anche che le strategie italiane per contrastare la contraffazione, almeno nel settore alimentare, non dà i risultati voluti. Evidentemente servono interventi e strategie più incisive rispetto al passato. È vero che la reciprocità di riconoscimento dei valori legali dei prodotti Dop è ferma da anni nelle trattative sul commercio mondiale. Ma questo non giustifica il fatto che ogni anno l'agroindustria italiana perda decine di milioni di euro. Da un lato sarebbe utile insistere all'estero sull'educazione alimentare per far conoscere di più e meglio il valore del prodotto made in Italy "originale"; dall'altro sarebbe il momento di sollecitare un intervento diretto delle Autorità europee a difesa delle nostre specialità, le più colpite. Per una volta proviamo a puntare i piedi anche noi.

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