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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2013 alle ore 08:55.

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Per recuperare il terreno perso nell'attuazione dell'agenda digitale, in cui l'Italia arranca in posizioni di coda, bisogna varare un “Digital compact” che obblighi l'Europa a non sprecare più tempo e preziose risorse. Un pungolo per i Paesi europei per spingerli a centrare senza più ritardi gli obiettivi dell'agenda digitale: dalla banda ultra larga allo sviluppo dell'ecommerce fino all'egovernment. Benzina, questa, che può far correre a pieni giri il motore della crescita di un'Europa che non può più vivere di solo rigore. E per chi sgarra, come per il gemello “Fiscal compact”, ci sarà la minaccia di sanzioni automatiche a cominciare dal taglio dei nuovi fondi strutturali europei che solo per l'Italia valgono 30 miliardi fino al 2020.
È questa in sostanza la proposta forte che domani Confindustria digitale presenterà al suo secondo forum consegnandola nelle mani del premier Letta e della vicepresidente della Commissione Ue Neelie Kroes, responsabile proprio del l'agenda digitale. Un incontro fortemente voluto dalle imprese del settore perché dopo tre giorni, il 24 ottobre, ci sarà un consiglio europeo cruciale da cui ci si aspetta un forte rilancio della crescita, con l'attuazione dell'agenda digitale che sarà proprio al centro del tavolo delle trattative tra le diplomazie europee. «Il premier Letta avrà un ruolo importante nel consiglio europeo e ci auguriamo che il nostro approccio venga sposato in pieno», avverte Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale. Che lancia un appello anche all'Ue: «Sarebbe un grave errore se questo vertice europeo si limitasse solo a dare scadenze o a decidere nuove materie regolamentari senza invece dare un forte segnale alle opinioni pubbliche europee sul fronte dell'agenda digitale». Anche perché la campana questa volta non suona solo per l'Italia, ma per tutto il vecchio Continente che ormai insegue da tempo il resto del mondo: «Da quando è nata l'agenda digitale europea il mercato Ict è cresciuto nel Nord America del 6%, del 18% nell'America del Sud, del 14% in Asia mentre in Europa è calata del 2 per cento», avverte Parisi. I Paesi europei rispetto agli altri hanno pagato l'impatto di una forte crisi che si è trascinata più a lungo e a cui si sono aggiunti investimenti sempre più ridotti e una forte pressione su prezzi e margini. Bruciando così occasioni di crescita: «Basti pensare che in Italia oggi l'Ict pesa il 3,5% sul Pil contro il 5/6% dei Paesi europei più avanzati. Se ci mettessimo solo in linea con gli altri – avverte il presidente di Confindustria digitale - avremmo già un punto di Pil in più, che è comunque poco rispetto ai risultati del resto del mondo e ai target dell'agenda digitale».
Ma allora perché l'attuazione dell'agenda digitale continua a restare incagliata tra mille pastoie burocratiche e rinvii? «La nostra idea del Digital Compact nasce proprio dall'esigenza di superare quelle resistenze che oggi in Italia sono annidate soprattutto nelle pubbliche amministrazioni, ma anche tra le stesse aziende private». Resistenze, queste, spesso responsabili del grave ritardo italiano. «La nostra situazione è tra luci e ombre», spiega Parisi.
Scorrendo i dati che Confindustria digitale racconterà attraverso un grosso tabellone dietro al palco del Forum forse ci sono molte più ombre che luci. Tra quest'ultime c'è la diffusione della banda larga a 2 mega per l'annullamento del digital divide. Qui l'Italia è addirittura sopra la media Ue: abbiamo coperto il 96% della popolazione contro il 95% europeo. Ma sul resto i ritardi sono evidenti. Sulla banda ultra larga da 30 mega, cruciale per fare un vero salto verso l'economia digitale, siamo solo al 14% della popolazione coperta, contro il 54% della media Ue e il 90% di alcuni Paesi (come Belgio e Olanda): «In questo caso però – avverte Parisi - il livello alto di investimenti delle aziende di Tlc ci fa ben sperare sul raggiungimento del target del 100% entro il 2020». Andiamo male sull'e-commerce che entro il 2015 dovrebbe toccare il 50% degli acquisti: in Europa la media è a 45% contro uno striminzito 17% dell'Italia. «In questo caso – spiega Parisi – paghiamo il fatto che da noi solo il 53% degli italiani usa internet contro il 70% dei Paesi nordici». Stesse performance negative anche sul fronte cruciale dell'egovernment: a fronte di un obiettivo del 50% dei cittadini in grado di accedere ai servizi di egovernement entro il 2015 il nostro Paese è al 19% contro una media Ue del 44%. «Questo forse è il target più importante – avverte il Presidente di Confindustria Digitale - non solo perché consente di ridurre i costi delle PA, ma anche perché attiva un circolo virtuoso che, spingendo le famiglie ad avere un collegamento internet e a eseguire transazioni sul web, allarga il mercato digitale con un beneficio non solo per le aziende private ma per lo stesso settore Tlc che potrà ricominciare a crescere e vedere un ritorno degli investimenti necessari per la rete».
Per raggiungere questi obiettivi sarà però cruciale anche saper spendere bene i fondi strutturali che l'Europa mette a disposizione proprio per l'agenda digitale. Finora non l'abbiamo fatto molto bene. È il caso dei voucher da 10mila per le imprese che decidono di investire nel web: «È un finanziamento della domanda che consentirebbe una accelerazione della penetrazione delle tecnologie internet nelle Pmi”, chiarisce Parisi, che confida ora nel lavoro dell'Agenzia per l'Italia Digitale e della nuova Agenzia per la Coesione. «Sarà cruciale il ruolo di Francesco Caio – conclude il presidente di Confindustria digitale - anche per coordinare la gestione qualitativa e quantitativa di questi fondi per non lasciare che si disperdano in mille rivoli inutili nelle regioni».

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