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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2013 alle ore 12:24.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2013 alle ore 12:42.

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I tedeschi, si sa, non hanno mai avuto una grande simpatia per noi italiani. Sentirselo dire in faccia, in modo certamente educato ma anche un po' brutale, e in maniera molto diretta con forte accento teutonico non fa pero' certamente piacere a nessuno. Anche in un incontro a porte chiuse e con una platea estremamente qualificata di imprenditori come è successo al breakfast finance del Club Canova organizzato presso il Boston consulting group. E forse fa più male ancora, perchè sono dichiarazioni "off the record".

Tra i temi "rinfacciati", se così si può dire, quello della bassissima "reputation". Insomma, in sintesi i tedeschi pensano che, come Paese, siamo totalmente inaffidabili. Un esempio? La famosa lettera Bce spedita il 5 agosto 2011 e firmata sia dal presidente Jean Claude Trichet sia dal futuro numero uno dell'Eurotower, Mario Draghi, con la quale l'Europa ci dettava alcune condizioni per il nostro risanamento finanziario ed economico: «Avete firmato e detto sì' a tutto, certo». Ma poi avete fatto poco o niente «a parte la riforma Fornero delle pensioni». E così succede per quasi tutto il resto, come si è lasciato scappare Tobia Piller del Frankfurter Allgemeine.
Certo, erano tedeschi doc quelli che parlavano, come ad esempio Klaus Schimitz, amministratore delegato di Thyssen Krupp Italia. Il quale, sempre off the record, ci ha spiegato l'interpretazione autentica di Berlino sul surplus oltre il 6 per cento. Nel senso che bisogna distinguere tra avanzo complessivo, con l'Europa ed extra-Ue. Mentre nei confronti dei partner europei il surplus si ferma sotto il 3%, è quello con il resto del mondo che schizza fin quasi al 5 per cento. Ma questo, per la Bundesbank, è positivo, in quanto "compensa" il deficit commerciale di altri paesi europei.

Ma il vero nodo dell'Italia è la crescita, come ha sottolineato Joerg Asmussen, 46 anni, membro del consiglio esecutivo della Banca centrale europea. Nel corso dei decenni, la crescita italiana è sempre rallentata: dal 5% del dopoguerra, siamo scesi al 4% degli anni 60, al 3% degli anni 70, al 2% degli anni 80, all'1% degli anni 90, fino allo zero del nuovo millenio e, adesso, alla descrescita del Pil.
Tra i presenti in sala anche Lapo Elkann, presidente di La holding, La Srl, Italia Independent (quotata in Borsa di recente con ottimo successo) che, un po' provocatoriamente, è intervenuto commentando come sia difficile per gli imprenditori italiani operare avendo un costo del denaro che è un pesante multiplo di quello delle imprese tedesche. Molto diplomatica, questa volta, la risposta.
A margine dell'incontro Elkann, fumando una Marlboro fuori dalla sala, ha ricordato come il guru Usa Kevin Roberts, autore del best seller Lovemarks ritenga che «l'Italia sia il più grande "love brand" del mondo», un fattore competitivo fortissimo sul quale il nostro paese deve lavorare a fondo e investire parecchio per conquistare nuove quote di mercato.

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