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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2013 alle ore 11:38.
L'ultima modifica è del 14 novembre 2013 alle ore 11:58.

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Davide Oldani (Fotogramma)Davide Oldani (Fotogramma)

Da Cornaredo (Italia) a Cambridge (Usa), la strada non è breve. Nè è semplice andare dalle porte di Milano ad Harvard. Specialmente se da chef diventi docente. Eppure Davide Oldani c'è riuscito, primo cuoco italiano in assoluto ad assere invitato nel tempio del management e del business.

Ancora una volta, quindi, l'italianità - stavolta declinata come eccellenza culinaria (e anche gestional-manageriale) - ha prevalso, come ama ricordare Lapo Elkann (presidente di Italia Independent, quotata in Borsa di recente con ottimo successo, e che ha appena aperto un negozio nella milanesissima strada dello shopping internazionale di via Montenapoleone): «Ce lo ha spiegato di recente anche il guru Kevin Roberts, autore del best seller Lovemarks, che l'Italia è il più grande "love brand" del mondo.

E così Davide Oldani - in occasione del decennale del suo ristorante D'O - è stato invitato ad Harvard dal professor Gary Pisano per svelare agli studenti della celebre università i segreti del business in cucina, a cominciare dalla mitica cipolla caramellata o il trancio di trippa fondente in salsa agrodolce (dei "must" richiestissimi, con un costo di materia prima contenuto).

Ma ad Harvard Oldani ha abbandonato la "toque" candida da cuoco per indossare i panni del professore. Del resto il "Prof" - o meglio il "giudice" - lo aveva già fatto nel programma televisivo italiano "The Chef". Il patron di D'O è infatti stato chiamato a Cambridge per tenere una lezione sul piccolo "miracolo economico" della sua Cucina Pop: «Ovvero, come far quadrare i conti, tra piatti di alta cucina e prezzi accessibili».

La formula del D'O, il suo ristorante alle porte di Milano - con una stella Michelin guadagnata già il primo anno di apertura - è così diventata una classica "case history" per gli economisti dell'università Usa.

Del resto il giovane ristoratore milanese che cita «Demarketing», un testo del mitico Philips Kotler pubblicato sul mensile «L'Impresa», e il best seller manageriale «Oceano blu» di Chan Kim e Renèe Mauborgne, confessa al Sole 24 Ore: «Rompo gli schemi non solo ai fornelli. E spesso faccio l'advisor perché imparo cose nuove». Passione, curiosità, voglia di crescere e di «vivere intensamente» sono infatti le motivazioni che spingono lo chef - ex calciatore - a fare il consulente per l'industria. «Da tempo - racconta - ho la partita Iva e fatturo le mie prestazioni professionali. Un'attività distinta dal ristorante che gestisco con rigorosi criteri manageriali, organizzativi e di planning, essendo molto attento ai costi in modo da offrire un ottimo rapporto tra qualità e prezzo».

E infatti quando attraversi San Pietro all'Olmo, una frazione di Cornaredo a dieci chilometri da Milano (poco dopo la "nuova" Italtel), trovi Oldani davanti al laptop invece che ai fornelli: sta dando gli ultimi ritocchi al menù autunnale: «Cambio la carta quattro volte l'anno, ma non per seguire le mode. Amo la stagionalità, anche perché i prodotti freschi che ogni giorno mi portano i fornitori di fiducia costano meno. Risparmio sulle materie prime, un ingrediente chiave per chi fa una cucina di qualità, ma alla portata di tutti, anche se ho imparato il mestiere nelle cucine delle tre stelle Michelin».

L'attività di consulente di Oldani è legata alla sua attività principale. Uno dei primi passi è stato quello di firmare una collezione di stoviglie in porcellana con un gruppo di Bolzano: «Fin da piccolo mi infastidiva - spiega nel raccontare la fondina "Assiette d'O" di Schonhuber Franchi - inclinare il piatto per raccogliere gli ultimi cucchiai di brodo. E così, per "Land" ho trovato l'uovo di Colombo nell'inclinazione del fondo». La collezione presenta altri quattro modelli, dettati da altrettante esigenze: «Sono pezzi da portare in tavola da soli, non serve il piano sotto una fondina così importante. Si abbassano i costi, ma soprattutto si guadagna in originalità puntando sull'essenziale». Partendo da qui (ma i guru di Harvard lo hanno passato ai raggi X per un anno, bollette della luce comprese), il patron di D'O racconta agli studenti americani molti altri "segreti" culinari, di marketing, gestionali. Oltre a un'esperienza come «F&B manager» (boss per la scelta di cibi e bevande) di un grande gruppo della ristorazione internazionale, Oldani ha collaborato con multinazionali come i francesi della Bonduelle o gli americani della Mfood per rilanciare i prodotti freschi: «Dalle grandi industrie ho imparato anche metodi di conservazione e di programmazione delle cotture che altrimenti non sarei stato in grado di fare o non avrei capito». Oldani lavora in squadra con altri esperti, dando consigli sia sul gusto, sia sulla scelta delle materie prime, sia sui processi di lavorazione: «Il tutto sempre tenendo presente i consumatori - spiega lo chef che risponde in prima persona al telefono e prende personalmente le "comande" - non vogliono rivoluzioni. Preferiscono il rinnovamento nel solco della tradizione, mantenendo equilibrio ed eleganza. E io sono una persona semplice, diretta. A volte è proprio il dettaglio a dare risultati sorprendenti».

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