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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2013 alle ore 16:21.

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Si attenua la caduta della produzione e il fatturato riesce dopo un anno e mezzo a tornare in terreno positivo, ma il quadro economico reggiano che emerge dall'indagine congiunturale sul terzo trimestre 2013 racconta di un'industria stremata, non più in grado di garantire le ottime performance occupazionali del passato attraverso ammortizzatori sociali e taglio dei margini. E, quel che è peggio, pessimista.

Il monitoraggio campionario sulle 1.100 imprese associate a Unindustria Reggio Emilia mostra per la produzione ulteriori segnali di rallentamento della flessione tra luglio e settembre scorso (con un costante miglioramento dal -7,2% di metà 2012 al -1,4% dell'ultimo trimestre) e un export in grado di compensare di misura (con un +3,7%) il calo della domanda interna che va affievolendosi (-1,9%, contro il -10,5% di inizio 2013). Tanto che le vendite complessive chiudono a +0,7 su base annua. Il trend dell'occupazione evidenzia però un preoccupante -1,6%, il peggior indicatore dalla primavera 2012, in un territorio abituato a primeggiare su scala nazionale con un tasso di disoccupazione al 5%, che è meno della metà del dato Paese.

I timori, in una provincia già alle prese con una crisi senza precedenti del sistema cooperativo (che si stima abbia depauperato di oltre il 5% il Pil reggiano) sono legati alle aspettative, «meno ottimistiche e più orientate a una situazione di stallo, a conferma di un quadro congiunturale ancora instabile – commenta il presidente di Unindustria Reggio Emilia, Stefano Landi - su cui gravano fattori critici che minacciano l'operatività delle imprese: instabilità del quadro politico interno, tassi di cambio, credit crunch, reale possibilità di conciliare politiche di rigore della spesa pubblica e politiche di sviluppo. Inoltre, la crescita meno sostenuta dei Paesi emergenti e la crisi che continua nell'area euro pongono dubbi sulla capacità di mantenere un andamento delle esportazioni sufficiente a trainare la ripresa».

Per il prossimo trimestre la forbice tra imprenditori ottimisti e pessimisti si riduce a tre punti percentuali per quanto riguarda i livelli di attività industriale (prevalgono comunque le attese di stazionarietà) ma su ordini e occupazione passa in negativo: a fronte di un 9,2% di intervistati che prevede nuove assunzioni, c'è un 18,5% che stima tagli dei posti di lavoro. «Le principali leve di sviluppo su cui dobbiamo puntare rimangono le stesse: occorre rimettere la manifattura al centro delle strategie politiche, rendere il nostro territorio più attrattivo per gli investimenti produttivi anche dall'estero e ridurre in maniera sensibile il cuneo fiscale», conclude Landi, anche se a Reggio Emilia il manifatturiero già rappresenta oltre il 30% del valore aggiunto provinciale grazie al traino di meccanica e agroalimentare (due settori che da soli valgono i due terzi dell'export).

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