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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2013 alle ore 10:43.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2013 alle ore 11:44.

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Anna Chiara Carrozza (Ansa)Anna Chiara Carrozza (Ansa)

Per una volta l'Italia potrebbe farsi trovare pronta e ben allenata, come non è mai successo prima, nella grande corsa ai fondi europei per la ricerca che si aprirà il prossimo anno. Giovedì scorso il Parlamento europeo ha infatti varato il nuovo piano «Horizon 2020» che mette in palio 70 miliardi per i prossimi anni, una cifra mai vista finora (l'unica col segno più rispetto al passato nei bilanci Ue, lo scorso programma per la ricerca ne ha stanziati 50).

Un piatto troppo ricco per farselo sfuggire anche perché le risorse per la R&S in Italia sono sempre più con il lumicino. Da qui gli sforzi di imprese, centri di ricerca, università e ministero dell'Istruzione che da qualche anno hanno deciso di fare squadra unendo gli sforzi per non fare più gli errori del passato quando abbiamo lasciato agli altri Paesi Ue almeno 500 milioni all'anno di risorse per colpa del nostro vecchio vizio di bussare a Bruxelles in ordine sparso.

L'idea è stata dunque quella di trasformare in una grande "palestra" gli ultimi bandi italiani per la ricerca, tagliandoli a misura del nuovo programma europeo Horizon 2020. A cominciare dai fondi per le smart cities e in particolare al bando sui «cluster tecnologici nazionali», i modelli di aggregazione pubblico-privata dove è forte la collaborazione tra grandi imprese e Pmi con Università e centri di ricerca, una delle frontiere, questa, al centro dell'XI giornata della ricerca e innovazione promossa giovedì scorso da Confindustria che su questo fronte lavora da anni. Il bando si è chiuso a metà ottobre scorso con un budget di 266 milioni (170 come contributo alla spese e 96 in credito agevolato) da destinare a otto cluster appartenenti ad altrettanti settori: Fabbrica intelligente, Chimica verde, Scienze della vita, Mezzi e sistemi per la mobilità di superficie terrestre e marina, Agrifood, Aerospazio, Tecnologie per le smart communities, Tecnologie per gli ambienti di vita. Il ministro dell'Istruzione Università e Ricerca, Maria Chiara Carrozza, non ha dubbi: «I cluster tecnologici si sono rivelati un'utilissima palestra per la collaborazione tra aziende e ministero in vista di Horizon 2020». «Il programma - continua il ministro - resta una delle priorità della nostra azione e i cluster avranno un posto importante anche nel Piano nazionale della ricerca che stiamo elaborando». Piano che non a caso sarà una versione italiana dell'europeo «Horizon 2020».

Sulla stessa scia il vice presidente Ricerca e innovazione di Confindustria, Diana Bracco, che ricorda come l'associazione degli industriali abbia «lavorato intensamente» alla costruzione dei cluster, «mobilitando tutto il sistema delle imprese»: «Siamo partiti dalla redazione delle Mappa delle competenze in Ricerca e Innovazione delle imprese, che hanno permesso di evidenziare la presenza e la distribuzione sul territorio, i temi e le collaborazioni - spiega Bracco - e abbiamo successivamente promosso con il Miur i progetti Sud-Nord, per favorire la collaborazione di soggetti della filiera distribuiti su diversi territori, ed infine lavorato alla costituzione dei primi 8 cluster tecnologici nazionali che hanno partecipato al bando Miur».

Il bando, chiuso lo scorso 13 ottobre, finanzia in particolare trenta progetti che coinvolgono in partnership pubblico-privato – che è la strategia sollecitata dall'Europa nel suo nuovo programma per la ricerca – 456 soggetti negli otto cluster. Si tratta, in particolare, di 112 tra enti pubblici di ricerca, università, Ircss e 344 imprese: 140 di taglia grande e 204 Pmi, tra cui anche alcune start up. Ora la sfida per questi cluster – vere e proprie filiere della crescita che coinvolgono trasversalmente praticamente tutte le Regioni – sarà quella di dimostrare la capacità di attrarre ulteriori investimenti pubblici e privati, finalizzati allo sviluppo e all'impiego di capitale umano qualificato (a cominciare dai dottori di ricerca) in modo da far crescere la qualità dei prodotti della ricerca e il loro impatto sull'impresa, sul mercato e sullo sviluppo dei territori.

Per tutti e gli otto cluster un'occasione d'oro per potenziarsi potrà arrivare dai nuovi bandi europei del programma Horizon 2020. A dicembre è atteso il piano con le call che Bruxelles intende lanciare il prossimo anno. In palio, come detto, ci sono 70 miliardi da qui al 2020. Con una crescita di fondi dovuta in gran parte alla creazione di un nuovo pilastro, quello della «Leadership industriale», uno strumento forte di 17,01 miliardi che si propone di accompagnare l'industria e in particolare le Pmi (a loro spetteranno almeno 3,4 miliardi) nello sviluppo di processi innovativi.
Un fronte, questo, dove i progetti nati nei cluster possono giocare una partita importante. Come nell'altro pilastro – quello classico dell'«Eccellenza scientifica» – che con una dotazione di 24,4 miliardi punta a valorizzare la ricerca di base e anche la creazione dei cluster. Un terreno su cui ora l'Italia può finalmente farsi trovare pronta e non commettere più l'errore di regalare agli altri le risorse per la ricerca e l'innovazione di cui abbiamo tanto bisogno. Finora il nostro tasso di successo nell'accesso ai bandi Ue finanziati anche con le nostre tasche è stato circa dell'8% contro una partecipazione al bilancio Ue che vede l'Italia mettere una quota che vale quasi il 14%. In pratica abbiamo finanziato con i nostri soldi – si stima almeno 2,5 miliardi negli ultimi anni – la ricerca degli altri. E se le cose non cambieranno l'Italia nei prossimi 7 anni rischia di perdere in favore degli altri membri dell'Unione una fetta di almeno 3,5 miliardi del programma Horizon 2020. Uno spreco che non possiamo davvero più permetterci. E che ora anche grazie ai nostri cluster tecnologici speriamo di dimenticare presto.

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