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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2013 alle ore 09:12.

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Si intitola "Il riscatto della Terra dei fuochi e lo sviluppo della filiera agroalimentare". E' il convegno che si svolge oggi a Caserta, promosso dai sindacati di categoria (agricoltura): Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil. L'obiettivo è chiaro e si intuisce: far cambiare rotta a un'immagine dei prodotti agroalimentari campani che, sotto i colpi delle polemiche e degli scandali ambientali, stanno subendo pesanti ripercussioni economiche.
Un dato su tutti:a un mese circa dai primi allarmi, il settore – che in Campania ha una delle regioni leader con produzioni tipiche come quella della mozzarella di bufala dop, concentrata tra le province di Caserta e Salerno – denuncia un calo delle vendite di circa il 40% sia in Italia che all'estero.

Timori tutto sommato comprensibili, considerata la diffusione delle notizie sullo scandalo dei mucchi di rifiuti in fiamme e degli sversamenti di sostanze velenose controllati dalla camorra. Ma i produttori dop non ci stanno: il loro lavoro e i loro prodotti non sono contaminati. E vogliono far passare il messaggio, anche per salvare un comparto importante.
In Campania infatti si alleva il 74% del patrimonio bufalino italiano, con 1.300 allevamenti che fatturano in media oltre 300 milioni. Si aggiungono 102 caseifici che producono dop. Insomma si stima un giro d'affari complessivo di circa 400 milioni compreso l'indotto. Un comparto che negli ultimi anni viveva una fase positiva: con aumento delle vendite in Italia e all'estero. Oggi il 25% della mozzarella di bufala dop viene esportato in Francia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna, Giappone e Stati Uniti.
«Anche dagli Stati Uniti ci chiedono chiarimenti – racconta Pasquale Cirillo, direttore commerciale della cooperativa di Teverola che produce con il marchio La Marchesa (giro d'affari di 16 milioni) – . I nostri clienti diretti si fidano, è il consumatore finale che non accetta spiegazioni».

Del resto, la mozzarella campana non è nuova a questo genere di problemi e questa volta – raccontano allevatori e caseari – le imprese del settore non si sono fatte trovare impreparate. «Dopo la brucellosi e lo scandalo della diossina, la filiera casearia in Campania è stata sottoposta a un controllo totale e continuo - racconta Armando Desideri Gaveglio, a capo della omonima azienda agricola di Dragoni in provincia di Caserta –. Nel 2008 l'Unione Europea ha preteso uno screening di tutti gli allevamenti bufalini campani in 15 giorni, con prelievi di latte effettuati dai Nas e dall'Asl e analizzati in Germania. Da quel momento in poi quei pochi che producevano latti e formaggi non in regola hanno dovuto chiudere bottega. Gli imprenditori, toccati da quella vicenda, sono essi stessi interessati a controllare la qualità del prodotto».

In prima fila nei controlli è l'Istituto zooprofilattico di Campania e Calabria che ha sede a Portici (Napoli). «Effettuiamo tre milioni di esami l'anno – spiega il commissario Antonio Limone – su terreni e su prodotti. Ci è richiesta un'attività intensa per far fronte alle minacce di roghi e sversamenti abusivi. Ma posso testimoniare che nel 2012 abbiamo individuato nel latte di un solo gregge diossina sopra i limiti. Mentre nel 2013 non è emersa alcuna positività. Il sistema si è autoregolato oltre ad essere monitorato da Asl, Forestale e Nas dei carabinieri». Dal nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri una valutazione: il sistema di qualità in atto è efficiente. Ma su alcuni casi ci sono indagini in corso.
La Regione Campania, dal canto suo, incassa l'approvazione della legge per la lotta ai roghi di rifiuti, e apre, sul sito istituzionale, una finestra intitolata "Noi x la Terra dei fuochi" allo scopo di «promuovere – si legge – un'informazione trasparente su salute, sicurezza alimentare ed ambientale». Il consorzio della Mozzarella Campana Dop chiede alla Regione interventi più incisivi e rapidi per difendere l'agroalimentare e sollecita la pubblicazione della mappa delle aree inquinate, alzando i toni della polemica.

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