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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2013 alle ore 12:16.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2013 alle ore 12:24.

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La viabilità di Reggio Emilia è bloccata da stamattina alle nove per l'invasione di 100 trattori e 10mila tra allevatori e agricoltori del Nord Italia (delegazioni arrivate da Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, oltre che dall'Emilia-Romagna) che protestano in concomitanza con i colleghi al Brennero per tutelare il made in Italy di qualità e in particolare la filiera suinicola emiliana. Ma il problema non finirà oggi pomeriggio, quando i cortei libereranno piazza San Prospero, perché l'allarme default per la suinicoltura nostrana si sussegue da mesi, ma di risposte politiche - a partire dalla convocazione di un tavolo tecnico nazionale - ancora non si ha notizia.

Nonostante la drastica cura dimagrante dell'ultimo decennio, la filiera suinicola italiana garantisce ancora oggi 105mila posti di lavoro nel Paese e salvaguarda alcune delle Dop più prestigiose, come il prosciutto di Parma, il San Daniele, il culatello di Zibello e una ventina di salumi di origine protetta (poche meno le Igp) che devono il loro successo alla qualità dei maiali italiani. «Qualità che però il mercato non valorizza, gli allevatori lavorano in perdita», rimarca il presidente di Coldiretti Emilia-Romagna, Mauro Tonello, contestualizzando la manifestazione reggiana e denunciando l'urgenza di misure per la tracciabilità totale della carne suina. «Qui non si parla di contraffazione, che solo in Emilia-Romagna sottrae alle Dop 8 miliardi di euro di business, ma delle migliaia di cosce di maiale che arrivano dall'estero e invadono le tavole italiane, soprattutto sotto le feste, senza indicazione d'origine», aggiunge Tonello, ricordando che in regione si è scesi in dieci anni da 4.438 a 1.179 allevamenti ma che 13 di 37 Dop e Igp emiliano-romagnole sono a base di carne suina locale.

A dare i numeri della crisi è la Cia: «Spendiamo 1,65 euro al chilo e ne incassiamo 1,48: una perdita insostenibile che non ci permette di far ripartire le produzioni», denuncia la Confederazione italiana agricoltori. Il prezzo del suino Dop è sceso del 15% tra ottobre 2012 e ottobre 2013, mentre i costi di produzione sono saliti quasi il 10 per cento. «Eppure questo tema non pare preoccupare l'industria della macellazione e salumiera che, anzi, si rifà sul valore della produzione nazionale – aggiunge la Cia - per recuperare le alte quotazioni delle carni di importazione». Gli effetti della filiera in crisi si iniziano però già a vedere a valle: il Prosciutto di Parma quest'anno ha già visto un calo di un milione di sigillature, da quasi 9,2 milioni a poco più di 8 milioni (sette anni fa erano 12 milioni). Non va meglio nemmeno alle altre Dop controllate dall'Istituto Parma Qualità: -25% il Culatello di Zibello e calo analogo anche per il Salame di Varzi.

Etichettatura delle carni fresche, tracciabilità, trasparenza e regolamentazione delle produzioni Dop sono la risposta all'impasse che ha portato due giorni fa anche i consiglieri emiliano-romagnoli della Lega Nord a presentare un'interrogazione alla Giunta per sapere quali azione la Regione stia portando avanti al ministero dell'Agricoltura, affinché sia convocato in fretta un tavolo tecnico nazionale per salvare la suinicoltura italiana e dunque occupazione e reddito del Paese.

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