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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2014 alle ore 11:49.

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La Legge «Valore Cultura» spacca il consiglio di amministrazione: si dimettono quattro componenti su sei e la parola passa adesso al ministero dei Beni culturali. Si è concluso con un grande strappo e senza alcuna deliberazione, la scorsa notte, il cda del Teatro San Carlo di Napoli che avrebbe dovuto pronunciarsi, all'ultimo giorno disponibile, sulla possibilità offerta dalla Legge alle fondazioni lirico-sinfoniche in difficoltà di accedere a risorse per 75 milioni.

A dividere, l'idea del presidente e sindaco del capoluogo campano, Luigi de Magistris, di non aderire al provvedimento, puntando sulla ricapitalizzazione attraverso i beni immobili comunali. De Magistris, festeggiato dai rappresentanti delle rsu dei lavoratori che hanno atteso per quasi sei ore il termine del consiglio e sono stati poi convocati all'interno della sala, ha parlato di «battaglia storica che dobbiamo estendere in tutta Italia contro una legge pessima che non riduce i costi delle produzioni, favorendo le esternalizzazioni e penalizzando le risorse interne, sulle quali noi invece vogliamo puntare. Il comune ha messo 40 milioni, è l'unico socio che l'ha fatto. È stata una vittoria del popolo del San Carlo che non riguarda solo gli stipendi, ma la politica culturale».

A favore dell'adesione alla Legge «Valore cultura» si sarebbero espressi i consiglieri dimissionari che rappresentano i soci fondatori, Stefano Caldoro (regione Campania), Luigi Cesaro (provincia), Maurizio Madaloni (Camera di Commercio) e Riccardo Villari (Mibac) mentre il tentativo di mediazione di Andrea Patroni Griffi (comune) sarebbe fallito. «L'adesione non era una posizione discrezionale, – spiega il governatore Caldoro - già cinque delle sei fondazioni per cui era stato pensato il fondo hanno aderito. Noi pensavamo a una adesione con prescrizione, senza toccare cioè salari e livelli occupazionali. La legge ci dava benefici enormi. Poi per evitare la spaccatura del consiglio, abbiamo preferito le dimissioni». Con le dimissioni di massa del cda ora la questione passa al Mibac, come fa capire il vicepresidente della Fondazione San Carlo Maddaloni che spiega: «Non abbiamo detto no all'adesione. Chi afferma questo è un cialtrone, dice il falso. Ci siamo dimessi per non sfiduciare il sindaco, ci è sembrato più etico che farlo andare in minoranza in votazione. Insomma, non abbiamo potuto decidere. Credo che un presidente dovrebbe lavorare per il consenso e cercare una intesa più ampia, compattare».

In merito alla delibera sul conferimento degli immobili alla Fondazione, Maddaloni afferma: «Apprezzo lo sforzo del Comune ma non è una delibera operativa (dovrà essere approvata dal Consiglio, ndr) e non sappiamo neppure se gli immobili sono bancabili. Naturalmente siamo convinti che il primo cittadino ci abbia detto il vero, ma comunque sarebbe stato meglio proporre questa strada tre mesi fa e non oggi». Che succede ora senza cda? «Ci affidiamo all'organo di tutela e vigilanza», conclude Maddaloni mentre nessun commento è arrivato sinora dalla sovrintendente Rosanna Purchia.

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