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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2014 alle ore 19:23.
L'ultima modifica è del 15 gennaio 2014 alle ore 19:26.

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Il mercato del cinema in sala torna a crescere nel 2013, dopo due annate con il segno meno davanti. I dati sono quelli rilevati da Cinetel, pari al 90% delle sale totali: i biglietti venduti sono stati il 6,5% in più rispetto al 2012. Gli incassi crescono meno, dell'1,4%, per il calo del prezzo medio dei biglietti, dovuto in buona parte al "tonfo" dei film in 3D (50 milioni incassati in meno sul 2012): per vederli, oltre agli occhiali, occorre pagare un prezzo maggiorato.

Due dati stabili nel tempo
«Vi sono due dati strutturali - sottolinea Riccardo Tozzi, presidente dell'Anica - che non sono destinati a cambiare anche nei prossimi anni: i 110 milioni di spettatori annui, e questo è un risultato al di sotto del consumo potenziale di cinema e la quota del 30% dei film nazionali. Quest'ultimo, invece, è un buon dato, in un mercato ristretto. I film nazionali in Spagna hanno una quota del 10%. In Francia, con un mercato sala intorno ai 180-200 milioni di biglietti annui e un ben diverso accesso della produzione nazionale alle risorse pubbliche, la quota del cinema francese è al 34%».

Incassi a catinelle
I film italiani, coproduzioni incluse, sono stati scelti dal 31% di chi è andato in sala contro il 26,5% del 2012. Sette i film nazionali tra i primi venti incassi, compreso il campione «Sole a catinelle» che, da solo, è stato visto da più otto milioni di italiani (o, meglio, sono stati venduti otto milioni di biglietti per vederlo). Una cifra maggiore della differenza di spettatori tra il 2013 e il 2012 (sei milioni), ben più del doppio degli ingressi di Medusa Film (13 milioni in totale). Nel 2014 potrebb e esserci il contraccolpo in negativo senza un altro Zalone, ma, in ogni caso, la «fase è di stabilità - aggiunge Tozzi. Le criticità restano due: la stagionalità, con una concentrazione di uscite da ottobre a marzo, con i film che "si mangiano la coda" l'un l'altro non raggiungendo tutto il proprio pubblico potenziale e lo squilibrio territoriale del circuito sale».

2014, anno del digitale nelle sale. Non tutte
Nel 2014 scomparirà la pellicola: a fine 2013, il 75% degli schermi è stato digitalizzato (di tutte le 3.936 sale che fanno cinema per almeno 120 giorni l'anno, precisa Lionello Cerri, presidente dell'Anec, l'associazione degli esercenti, non solo quelle censite da Cinetel, che sono 3.256). «Altre 400 schermi - continua Cerri - lo faranno entro fine giugno. Del restante 15% del circuito sale non sappiamo cosa succederà». Il digitale permette di ampliare e diversificare l'offerta dei cinema, «intercettando pubblici diversi» aggiunge Cerri.

Circuito sale squilibrato?
Carlo Bernaschi, presidente Anem, associazione dei maggiori esercizi, cita il caso di Violetta e di Peppa Pig nei cinema, «dove tra bambini e genitori si è recato in sala un pubblico che non va mai al cinema». Si chiede poi Bernaschi: «Come mai dei sei milioni di spettatori in più del 2013 ben 3,8 milioni vanno ai due maggiori circuiti (The Space e UCI, ndr) e solo 2,2 a tutto il resto dell'esercizio?».

Andrea Occhipinti, presidente dei distributori, rilancia l'allarme "pirateria": si attende l'entrata a regime, a febbraio, del Regolamento Agcom. «Le telecom fanno tanto fatturato con l'utilizzo illecito dei film, ha un senso che diano un contributo al settore». Di web tax non si è parlato nella sala dell'Anica dove si è tornati a presentare i dati ma Tozzi ricorda a tutti che «siamo un mezzo che deve far fronte a una concorrenza molto forte»0.

Riforma del sistema e nuovi linguaggi
A fronte della trasformazione del consumo d'immagini e di audiovisivo, infine, Tozzi indica la «passione per la nuova serialità» che pone anche il pubblico delle sale di fronte a nuovi linguaggi e «occupa tempi di consumo. Il film deve diventare sempre più un evento, anche per un pubblico preciso e limitato».

Occorre «una riforma del sistema delle comunicazioni - dichiara Tozzi al Sole 24 ore: abbiamo tre operatori - Rai, Mediaset e Sky, che, con questo sistema, non guadagnano più e non hanno risorse sufficienti per investire nella cultura e nella produzione nazionale. Una tale riforma é interesse anche loro».

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