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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2014 alle ore 10:41.

Sarà un'assemblea straordinaria del tutto inutile ai fini aziendali quella che si terrà oggi alla Faac – il colosso bolognese dei cancelli automatici - visto che già ieri il giudice istruttore Maria Fiammetta Squarzoni ha ordinato al custode giudiziario, che di fatto controlla il 66% del capitale, di respingere la modifica statutaria presentata una settimana fa dal management per aggirare la custodia cautelare e allungare la briglia della gestione operativa.

Modifica che introduceva due articoli per rendere intrasferibili le azioni oggetto di contesa e il congelamento dei relativi dividendi così da non pregiudicare gli interessi di eredi legittimi e presunti beneficiari testamentari (l'Arcidiocesi bolognese innanzitutto) che da quasi un anno e mezzo stanno battagliando nelle aule del tribunale per l'eredità di Michelangelo Manini. Un patrimonio di 1,7 miliardi di euro, tra cui appunto i due terzi delle quote di Faac (il restante 34% è della francese Somfy).
La multinazionale si prepara a chiudere il bilancio 2013 "poco sopra i 283 milioni di fatturato 2012 e con indici redditività in linea ai precedenti, nelle migliori delle ipotesi. A fronte di un tasso medio di crescita annuo, tra il 2009 e il 2012, del 17% per i ricavi e dell'11,3% per l'Ebitda. E con un budget 2014 a crescita zero mentre il piano industriale che Manini aveva messo a punto prevedeva di arrivare a superare i 500 milioni di business nel 2015". Numeri che l'amministratore delegato Andrea Macellan snocciola per spiegare gli effetti collaterali di una vicenda destinata a sicura sceneggiatura per un film, tra corsi e ricorsi di cugina, zio, preti, dentista, tra sequestri e dissequestri che hanno oggi come unico risultato quello di "compromettere il futuro di 1.800 famiglie in 24 Paesi del mondo", sbotta l'ad. Senza considerare che il depauperamento delle azioni Faac finisce per danneggiare tutti, a prescindere da chi sarà l'erede designato dell'impero dell'automazione e del controllo accessi, "che proprio a causa del sequestro non è riuscito a portare a termine un anno fa la più grossa acquisizione della sua storia, l'Opa su una società francese del settore che ci avrebbe permesso di diventare il quinto player mondiale del settore", rincara Macellan.

Nessuna volontà di intromettersi nella contesa giudiziaria sull'eredità – mette le mani avanti il manager - e neppure di entrare nei meccanismi decisi da tribunale per stabilire se i quattro testamenti siano olografi e autentici, "ma solo il tentativo di capire se stiamo parlando di custodia giudiziale del compendio ereditario, e dunque il custode si limiti a fare l'azionista, o di sequestro d'azienda e allora il giudice ci spieghi il perché e agisca di conseguenza. Abbiamo presentato un reclamo al tribunale a tal proposito che sarà discusso il prossimo 18 febbraio. Se anche allora non avremo risposte, alzeremo bandiera bianca" assicura Macellan, preoccupato per tempi e priorità della giustizia incompatibili con quelli dell'azienda.
Sempre ieri, intanto, il giudice Squarzoni ha dato incarico a tre esperti grafologi di analizzare i documenti riferibili a Michelangelo Manini per capirne olografia e autenticità e porre fine alla querelle su chi è l'erede del suo patrimonio, fissando il termine ultimo per presentare la perizia al 24 settembre, con data conclusiva del processo al massimo entro il 2 febbraio 2015.

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