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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2014 alle ore 09:11.

In Italia ci sono 976 pozzi in piena attività che estraggono dal sottosuolo petrolio e metano. Sono dappertutto: ai margini delle statali, sparsi fra i campi coltivati, a un passo dalle autostrade, fra le case ai margini dei centri abitati. Nei nostri mari le piattaforme sono 120 (in lettere: centoventi), per esempio di fronte al turistificio romagnolo.
Incidenti? Bisogna andare al febbraio 1994, vent'anni fa, quando sulla sponda novarese del Ticino, a Trecate, esplose un pozzo. Per tre giorni la fontana di petrolio soffiato contro il cielo irrorò i tetti di Trecate e le risaie. C'era odore intenso e l'erba pennellava i pantaloni con righe nere indelebili in lavatrice.

Le compagnie petrolifere stimano che l'Italia abbia riserve accertate di greggio e metano pari all'energia di 126 milioni di tonnellate di petrolio. L'Italia è il quarto Paese petrolifero d'Europa subito dopo quelli che si affacciano sul bengodi del Mare del Nord, cioè Norvegia, Gran Bretagna e Olanda.
Il potenziale potrebbe essere di sei o sette volte tanto. L'area Tempa Rossa in Basilicata (Total), ancora in fase di avvio, potrebbe essere migliore della Val d'Agri adiacente. E dove la Lucania s'immerge nel golfo di Taranto, sotto quel mare ci sarebbero giacimenti da primato. Oppure al largo di Trapani, terra resa difficile dalle mafie politiche.
Se quel greggio e quel gas potessero essere estratti, l'Italia non dovrebbe pagare 6 miliardi a sceicchi e oligarchi. Al contrario.
Con le royalty, con un 7% fra i più esosi al mondo, l'Italia spennerebbe le compagnie petrolifere di 3 miliardi di euro, quanto quelli incassati con la prima rata dell'Imu spennando invece i cittadini.

È chiaro: è urgente ridurre l'uso delle fonti fossili di energia (carbone petrolio metano) a vantaggio di quelle pulite. Ma anche l'energia verde trova nemici al suo sfruttamento, in genere gli stessi nemici che trova il petrolio.
I nemici non sono i cittadini – la maggior parte ha visto piattaforme petrolifere e pozzi in attività senza nemmeno accorgersene –, ma coloro che usano le paure dei cittadini. E coloro che non vogliono condividere con i cittadini la ricchezza del sottosuolo. In una decina d'anni dalla Basilicata sono state estratte royalty (al 10%, più alte di quelle nazionali) per 1,3 miliardi, ma il mezzo milione di lucani ha avuto benefici difficili da identificare.

Questo lo sanno bene le compagnie petrolifere, che dialogano abitualmente con le controparti e s'incontrano con le associazioni ecologiste e con i ministeri di riferimento per condividere un impegno a tutela dell'ambiente e per rendere sostenibile lo sviluppo.
A maggior ragione, compagnie, ambientalisti e ministeri stanno ragionando in questi giorni sul Protocollo di Barcellona a tutela del Mediterraneo e sulla nascita dell'agenzia indipendente imposta da Bruxelles per la sicurezza ambientale in mare, che con ogni probabilità sarà formata da esperti autorevoli provenienti da Enea e Ispra.

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