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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2014 alle ore 21:32.

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Ci sono 5mila aziende in Italia che potrebbero ambire al mercato dei minibond per finanziare il proprio sviluppo. Ma sono ancora poche decine quelle che lo hanno fatto, anche se il decreto Sviluppo prima e il più recente Destinazione Italia hanno eliminato tutti gli handicap fiscali e normativi che impedivano alle società non quotate di emettere obbligazioni (introducendo in primis deducibilità degli interessi passivi e dei costi di emissione).

In realtà il primo ostacolo alla diffusione degli strumenti di debito tra le Pmi non è nelle leggi ma nel gap culturale e nell'atavica diffidenza degli imprenditori ad aprire i libri contabili e i propri progetti di investimento ad advisor e investitori esterni. Sono questi i temi al centro del convegno ospitato questa sera da Confindustria Modena, in collaborazione con le territoriali di Bologna e Reggio Emilia, per spiegare agli associati le opportunità alternative che si aprono per la finanza d'impresa, in un Paese come il nostro ancora dipendente per il 92% dal credito bancario.

«Il credito bancario è cresciuto in Italia, per molti anni, ben sopra la dinamica di investimenti e produzione, il che significa che erano risorse male allocale. Poi dal picco di novembre 2011 a oggi si sono persi 98 miliardi di finanziamenti bancari, 57 sono negli ultimi 12 mesi. E il deleveraging degli attivi, per effetto di Basilea 3, potrebbe ridurre ulteriormente gli impieghi al settore privato di altri 160-200 miliardi», sono i numeri allarmanti del credit crunch con cui Stefano Firpo, capo della segreteria tecnica del Mise, introduce il convegno per ribadire agli industriali la necessità di un cambio di passo, quando si ragiona di come dare linfa ai piani di sviluppo.

«I minibond sono risorse per finanziare la crescita, non la ristrutturazione del debito», sottolinea Fabrizio Togni, direttore generale di Bper, che con altri sei istituti di credito ha partecipato al primo fondo in Italia già pronto a finanziare emissioni obbligazionarie di Pmi (ha chiuso a novembre i primi 100 milioni di euro di raccolta), lanciato da Anthilia Capital Parnters Sgr (bond Impresa e territorio), che parte ora alla caccia di aziende da finanziare, tra le 5.270 manifatturiere e commerciali scremate lungo lo Stivale.

«Le aziende esigibili hanno tra i 25 e i 150 milioni di euro di fatturato – spiega il senior partner della Sgr, Giovanni Landi – un Ebitda superiore al 5%, un Ros minimo del 2,5%, un rapporto debito/patrimonio netto fino a 3, un indice debito/Ebitda di massimo 4 e oneri finanziari su Ebitda sotto al 35%; ma soprattutto devono essere aziende trasparenti, con manager stabili e credibili, con struttura dei costi flessibili e un piano di sviluppo ben delineato». Requisiti non scontati, ma chi appartiene alla categoria potrebbe accedere a 5 milioni di euro di minibond per 5 anni a un costo del debito effettivo del 5,9% (al netto dei benefici fiscali), senza garanzie ulteriori.

I minibond, così come i fondi di private equity o la piattaforma Elite di Borsa italiana - 131 società non quotate che vengono accompagnate ad aprirsi agli investitori - sono in effetti strumenti che «allargano la cultura finanziaria d'impresa – ricorda il dg di Bper – perché impongono la certificazione dei bilanci e il dialogo con gli investitori; e servono a diversificare le fonti di finanziamento e quindi a migliorare il merito di credito. Anche per noi banche rappresentano un indubbio vantaggio, perché spostano i nostri ricavi dai margini di interesse, molto volatili, a entrate da servizi molto più stabili e controllabili». Un primo passo che spesso conduce poi gli imprenditori al mercato azionario.

Da febbraio 2013 - quando Borsa Italiana ha aperto il mercato non regolamentato per i minibond, l'extraMot Pro - a oggi sono 29 le emissioni quotate, "anche se in realtà alcuni sono maxibond da centinaia di milioni di euro e solo due sono operazioni dal mezzo milione di euro in giù", nota Vittorio Benedetti, manager Small&Mid Cap di Borsa Italiana. Di fronte ai quasi cento di miliardi di euro di credito venuto a mancare in Italia negli ultimi due anni i 6 miliardi di emissioni di minibond registrati in Italia sono poca cosa, ma sono un primo passo. «Se è vero che è finita la recessione ed è giunta l'ora di rimettere in moto gli investimenti – conclude il vicepresidente nazionale della Piccola industria, Massimo Cavazza – ben vengano tutte le iniziative volte a spingere strumenti alternativi per la finanza d'impresa. Anche perché ogni azienda che investe si porta dietro tutta la filiera dell'indotto che è la spina dorsale del nostro manifatturiero».

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