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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 13:02.

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Nelle carte antiche la bassa emiliana era un lago inframmezzato da brevi terreni asciutti. Appena uscivano in pianura, i fiumi dell'Appennino si allargavano e perdevano la strada.
I maggiori lavori furono fatti a partire dalla seconda metà dell'800. Operai e braccianti, i cosiddetti scarriolanti, alzarono gli argini a quegli stessi corsi d'acqua che nelle scorse settimane erano tracimati, come l'Enza o la Secchia.

Nel 1871 si mise mano alla parte più impegnativa della bonifica, quella fra la cittadina di Cento e il mare Adriatico. In Inghilterra fu fondata la Ferrarese Land Reclamation Company Ltd che, dall'anno successivo, sotto regio decreto, cominciò a prosciugare le paludi. Dal 1947 la Bonifiche Ferraresi è una Spa quotata.
La Grande Bonifica Ferrarese è stata una delle opere più colossali e meno conosciute. Soprattutto per finanziatori privati (si chiamavano "capitalisti") fu costruito un reticolo di canali che drenavano l'acqua piovana verso le idrovore, grandi macchine a vapore che gettavano (e gettano ancora oggi) l'acqua oltre l'argine del corso dei fiumi che vanno verso il mare. Le terre liberate dall'acqua andavano in genere in proprietà agli investitori.

In questo modo furono resi coltivabili quasi 100mila ettari, di cui circa 16mila ettari della società Bonifiche Ferraresi.
Dal dopoguerra c'è stato un lavoro continuo di piccoli lavori di adeguamento, come alzare argini, cambiare i motori delle idrovore, adeguare la luce delle campate dei ponti, ma gli allagamenti delle settimane scorse dimostrano che questi lavori di aggiustamento non sono più sufficienti.

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