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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 11:22.

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Sono nozze nordestine che non portano né salvezza né affari stratosferici per la bolognese Moto Morini, ma suggellano l'altissima qualità motoristica e la valenza di un marchio ripescato due anni fa dal fallimento ma ancora incapace di reggere la concorrenza di mercato. La storica casa del "Corsaro" e del "Settebello" ha infatti annunciato una partnership tecnica e strategica con il gruppo vicentino Athena Spa (componenti meccaniche ed elettroniche per motori), che internalizzerà nel sito di Alonte tutta le fasi relative a fornitura, calibrazione, omologazione delle centraline per le due ruote finora svolte nella fabbrica di Casalecchio dal team di Moto Morini, in sinergia con i tecnici di Magneti Marelli (e centraline fornite dalla divisione del gruppo Fiat).

"Un'operazione da centinaia di migliaia di euro", si limita a quantificare il valore dell'alleanza Ruggeromassimo Jannuzzelli, vicepresidente dell'"aquila d'oro", che ha rilevato all'asta a fine 2011 assieme all'ex banchiere Sandro Capotosti (evitando così che 75 anni di storia motoristica bolognese finissero nell'oblio come è successo all'altro marchio locale delle due ruote, Malaguti). Si sa però che la stanza per l'omologazione delle moto che ora viene trasferita nel Vicentino era un pezzo forte – 800mila euro di costo - dello stabilimento bolognese messo al bando dal tribunale.

"Noi – precisa Jannuzzelli - utilizzeremo ora centraline di Athena e ci appoggiamo completamente a loro per tutto ciò che è il lavoro fatto al banco nonché per la parte test, collaudo e quella normativo-burocratica di verifica e omologazione della moto". Athena, multinazionale tascabile con dieci stabilimenti nel mondo, 610 addetti e 86 milioni di fatturato, ottiene invece il prezioso imprimatur del marchio Moto Morini per i propri prodotti e servizi nel controllo elettronico e avrà dunque maggiori chance di conquistare nuovi clienti tra le altre piccole case motoristiche – come Bimota o MV Agusta - che non hanno i numeri di Ducati e dunque la convenienza a farsi da sè calibrazioni e omologazioni.

Non arriverà però da Vicenza, bensì dal lontano Oriente, il salvataggio dei conti di Moto Morini e dei suoi 25 addetti. I due cavalieri bianchi che hanno iniettato a Casalecchio sei milioni di euro nel 2011 (tra capitale sociale e finanziamento soci) sono ben lontani dai budget iniziali, che parlavano di mille moto 100% made in Italy nel 2012 - anno presunto del break even – per salire a 2mila pezzi nel 2013, con il traguardo delle 3.500 moto per 40 milioni di fatturato nel 2016. L'anno scorso le moto vendute – solo via web in Europa, previa prenotazione – sono state poco più di cento. "Per ora ci definiamo dei mecenati di un marchio storico delle due ruote che non si poteva lasciar morire, ma la trafila è lunga e dolorosa", commenta il vicepresidente. E a chi gli domanda come va risponde: "In Italia malissimo, in Europa maluccio e appena esci fuori dai confini europei interessa l'azienda, più che la moto".

Ed è infatti ad alleanze nel Far East che guarda ora Moto Morini per far decollare il business e reggere l'impari sfida con i tedeschi di Ducati o i giapponesi di Honda, Yamaha, Kawasaky. "Nei mercati emergenti il nostro marchio ha grande appeal e si aprono possibilità di partnership commerciali e industriali promettenti", chiosa Jannuzzelli, che ha da poco attivato importatori in India e in Russia e conta di dare sprint alle vendite con due nuovi modelli: l'Undici e mezzo, entry level, da 10.900 euro (Iva inclusa) e il Rebello in carbonio da 22.500 euro tutto incluso.

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