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Dai caschi alle maschere, la tecnologia di Briko in gara alle Olimpiadi di Sochi

Era il 1985 e dagli stabilimenti di Novara forniva la sciolina per la nazionale italiana di sci. Poi, nel 1991, ha realizzato il primo casco indossato durante una gara di discesa da un campione indiscusso dell'epoca, Alberto Tomba. Oggi Briko è un'azienda che cresce sul mercato – italiano ed estero – e proprio in questi giorni rappresenta la tecnologia e il design made in Italy alle Olimpiadi di Sochi.

Sono dieci, italiani e non, gli atleti olimpionici (il cui nome non si può rivelare secondo il regolamento dei Giochi) che indossano attrezzature e abbigliamento realizzati dalla piccola azienda rilevata nel 2008 da Carlo Boroli, che oggi ha sede a Milano e registra un fatturato, in crescita, di 7,5 milioni, realizzato per il 60% all'estero. «Il merito è della propensione alla ricerca e all'innovazione - spiega il proprietario e amministratore delegato - che ci ha permesso di vincere quest'anno due Ispo Award a Monaco per i migliori design e sicurezza per altrettanti prodotti». Si tratta del casco Vulcano, realizzato in Abs e polimeri plastici di ultima generazione, dotato di un particolare sistema di sicurezza. E di una famiglia di maschere con lenti in nylon che usano una tecnologia derivata dalla Nasa, per garantire la percezione dei contrasti anche sulla neve e in condizioni di scarsa luminosità.

Testimonianza della capacità innovativa dell'azienda, e a sua volta veicoli del suo successo, sono i nomi dei campioni che Briko ha "vestito" negli anni, sia in ambito sciistico, sia nel ciclismo. Atleti come il già citato Alberto Tomba, ma anche Marc Girardelli, Lasse Kjus, Deborah Compagnoni, Kristian Ghedina, Jure Kosir, Bode Miller e Lindsey Vonn. O i campioni di sci nordico Björn Daehlie e Piller Cottrer. O ancora ciclisti come Tony Rominger, Marco Pantani e Mario Cipollini. Ottimi «volani» per conquistare i mercati esteri, come Francia, germania e Austria (l'arco alpino, insomma), ma anche Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud.

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