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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2014 alle ore 16:09.

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(Corbis)(Corbis)

Per l'inaugurazione ufficiale bisognerà aspettare ancora un paio di settimane, ma a Modena è già funzionante il primo impianto sperimentale per la produzione di biodiesel da alghe ad altissima resa. Un brevetto di Teregroup, piccola società di biotecnologie in mano da due anni a capitali russi (che hanno rilevato il ramo d'azienda dedicato alle alghe della storica società modenese di nutraceutica T.M.), che ha scommesso sul biodiesel di nuova generazione.

Un mercato che si stima valga già oggi almeno un paio di miliardi di euro nel Paese e destinato a esplodere con le nuove norme europee, che hanno fissato l'obiettivo al 2020 di un tetto massimo del 6%, sui consumi energetici totali, per i biocarburanti di prima generazione (da colture alimentari) e una quota minima del 2,5% per quelli di seconda generazione (alghe). «La peculiarità delle nostre microalghe combustibili, il brevetto Algamoil – spiega il country manager di Teregroup Italia, Michael Magri, che lavora da tre anni al progetto in partnership con il dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari dell'Università di Modena – è che hanno una quantità di lipidi doppia rispetto alla media di quelle oggi sul mercato, parliamo di un 50% di olio grazie al processo di fotosintesi combinata con la fermentazione, contro il 20-25% delle altre alghe».

L'impianto pilota modenese, chiamato Polo dell'alga combustibile Algamoil, per la prima volta avvierà una produzione in scala reale – seppur ancora non industriale – di alghe e del loro trattamento per la trasformazione in olio combustibile: «Parliamo di un impianto a circuito chiuso di 100 mq – precisa Magri – mentre per ottenere rese convenienti bisognerà partire da almeno un ettaro. Qui, in grandi cilindri pieni di acqua, vengono coltivate le alghe, poi estratte, centrifugate come l'insalata, messe in serbatoi di fermentazione assieme a prodotti di scarto zuccherini che potenziano la trasformazione delle microalghe in olio».

Un piccolo impianto industriale di due ettari che richiederà un investimento di otto milioni di euro e l'utilizzo di 3 milioni di litri di acqua nei cilindri di coltivazione, con un rendimento di 7 grammi di microalghe a litro, di cui la metà diventerà olio e il restante 50% frazione secca da riutilizzare per mangimistica e fertilizzanti. Sull'economicità e la sostenibilità dell'investimento Algamoil ci sono già i risultati testati su un motore di serie non modificato nella sala prove del centro ricerche InterMech dell'ateneo modenese. «Presenteremo la pubblicazione a Detroit il prossimo aprile – afferma il ricercatore Carlo Alberto Rinaldini – dove dimostriamo che già una miscela di biodiesel da alghe al 20% con gasolio commerciale è in grado di ridurre le emissioni di particolato dal 30 al 50%, a fronte di potenza e coppia uguali al diesel commerciale».

Teregroup è la prima azienda in Europa ad aver testato su vetture standard il biodiesel dalle alghe, notare Magri: «Siamo già in contatto con diverse società italiane e internazionali interessate a industrializzare il nostro impianto». Tra i primi interessati c'è Eni, che sta avviando a Venezia i cantieri per una megafabbrica di biodiesel di nuova generazione da 100 milioni di euro. «Ma non ci fermiamo qui», anticipa Magri. Assieme allo stesso centro InterMech e alla società della famiglia Ferrari Hpe Coxa (di Piero Ferrari, il figlio del Drake) Teregroup ha infatti appena partecipato a un bando di ricerca per lo sviluppo del dual fuel nell'automotive. Obiettivo: installare su vetture di serie impianti in grado di utilizzare contemporaneamente e non alternativamente sia metano sia biodiesel.

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