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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2014 alle ore 14:59.
L'ultima modifica è del 27 febbraio 2014 alle ore 15:17.

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La Green economy non è un mito irraggiungibile. E non è l'ultima spiaggia per salvare il mondo dal disastro ambientale. È, al contrario, una grande occasione a portata di mano per avviare un nuovo ciclo di sviluppo economico. Conciliando, appunto, i doveri ambientali con la sconfitta del grande mostro: la crisi globale. Ce lo dice l'Enea insieme alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, nell'ultimo rapporto sulla Green Economy. Certo, ci vuole coraggio. Ma non servono misure traumatiche. Vanno semplicemente colte le opportunità che ci sono. Magari facendo un po' di autocritica sugli errori compiuti: la malagestione, ad esempio, del sistema dell'emission trading congegnato in Europa per limitare le emissioni di carbonio. Meglio, molto meglio, la soluzione di una carbon tax, ribadisce l'Enea. Nel frattempo si può e si deve adottare un mix di innovazione tecnologica e di riorganizzazione del vivere comune, concentrandosi sulle città: mobilità elettrica e soprattutto mobilità pubblica, ma anche riorganizzazione sociale in collaborazione con tutti i grandi protagonisti (a partire dai sindacati dalle imprese) per cogliere le occasioni da tempo conclamate ma poco praticate: il telelavoro, la telemedicina, il passaggio ben più rapido della burocrazia pubblica dai rapporti " fisici" a quelli telematici. All'insegna delle "città intelligenti", prima e più suggestiva applicazione delle reti intelligenti (smart grid) che promettono di trasformare in meglio tutto il nostro "ambiente operativo". A patto, ben inteso, di semplificare e modernizzare anche le regole e i passaggi formali della grande (e finora indomabile) burocrazia.

Catturare l'innovazione
«Può essere – insiste il presidente dell'Enea, Giovanni Lelli - la chiave di volta per avviare un nuovo ciclo di sviluppo all'insegna della sostenibilità e dell'innovazione con ricadute di lungo periodo. Una formidabile spinta propulsiva ad un New Deal che può venire da una nuova pianificazione urbana, dall'eco-innovazione tecnologica e sistemica». E, insieme, «una grande opportunità per la nostra industria nazionale che porterà vantaggi competitività». La via migliore per innescare questi processi? "Partire dalle città " incalza Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

C'è proprio tutto nell'ultimo rapporto sulla Green economy. Un intero capitolo è dedicato all'opportunità di ridefinire l'intera fiscalità ecologica affidando appunto il ruolo cardine ad una carbon tax ben calibrata. Che ha (avrebbe) il grosso vantaggio di assegnare automaticamente un'addizionale compensativa di prezzo alle merci, ovunque prodotte nel mondo, che contengono più carbonio e quindi meno innovazione dei processi. Idea non nuova, ma che evidentemente stenta a farsi largo.

Occasioni non sfruttate
Eppure - si osserva nel rapporto- in questa direzione l'Italia si era mossa già nel 1999, con una carbon tax rimasta in vigore però solo due anni che rideterminava il livello delle accise sui combustibili fossili in base al contenuto di carbonio. La norma «soddisfaceva le principali caratteristiche di cui deve rispondere la tassazione ambientale: internalizzava i costi ambientali associati all'emissioni di CO2 realizzando il principio della responsabilità dell'inquinatore», pur essendo applicata con la «necessaria gradualità». Ma soprattutto «la tassa era introdotta senza aumento della pressione fiscale, in quanto i maggiori introiti sui prodotti energetici venivano restituiti sotto forma di riduzione degli oneri sociali gravanti sul costo del lavoro e di tasse particolari, come la sovrattassa sul diesel, e andavano a compensare i settori più colpiti o venivano utilizzati per migliorare l'efficienza energetica».
Un ritorno a quell'esperimento abortito? Perché no.
Ecco intanto il nuovo ruolo che le città «possono avere come volano per uno sviluppo sostenibile». In Italia – sottolinea il rapporto - il 68% della popolazione vive in un ambiente urbano dove si produce il 75% dei rifiuti mentre le abitazioni consumano dal 30 al 60% in più di energia rispetto alla media Ue. Un processo che continua a crescere sull'onda di una cementificazione «frammentata e disordinata» che mangia territorio «al ritmo di 343 metri quadri l'anno per ciascun italiano».

Ritorni assicurati
Rifiuti, mobilità urbana, energia e emissioni. Molto bisogna fare. Anche perché conviene su tutti i fronti. Perché nelle valutazioni dell'Enea non ci sono solo margini significativi per migliorare, ma anche per fare affari. Insomma, per monetizzare il progresso su questi versanti. Prendiamo ad esempio l'enorme quantità di ciò che buttiamo. «Una stima sui rifiuti che arrivano ai centri di raccolta di Roma valuta in diversi milioni di euro il valore di questi beni che possono essere introdotti sul mercato». In particolare «circa il 48% dei rifiuti elettrici ed elettronici potrebbe essere riutilizzato con un valore di mercato di 45 milioni di euro». A patto, naturalmente, di far funzionare a dovere la raccolta differenziata e il successivo trattamento. Per ricavarne, oltretutto, graditissimi denari.

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