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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2014 alle ore 08:18.

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Una scossa per le imprese. È la prima richiesta al governo del neo presidente della Cia, Dino Scanavino, 53 anni, imprenditore vitivinicolo e vivaistico nella provincia di Asti. Arriva dopo dieci anni di guida di Giuseppe Politi che ha cambiato profondamente l'identikit dell'organizzazione proiettandola verso un gioco di squadra con le altre rappresentanze. Una successione senza strappi (era candidato unico) e nel segno della continuità. I capisaldi della strategia associativa restano l'internazionalizzazione, l'abbassamento dei costi per dare competitività alle imprese, una linea unitaria con le altre organizzazioni sulla scia di Agrinsieme (il coordinamento di Cia, Confagricoltura e Alleanza delle coop) e soprattutto un taglio incisivo alla burocrazia.
In uno studio presentato all'assemblea la Cia ha infatti imputato al «mostro» burocrazia la responsabilità della chiusura di 100mila aziende. «Gli agricoltori – ha sottolineato Scanavino – sono sempre più divorati dalla macchina amministrativa. Più di cento giorni l'anno per adempiere alle pratiche che costano due euro l'ora alla singola impresa. Ogni azienda crea carta per 25 chili circa». Il risultato è un costo di oltre 7 miliardi all'anno, un onere di 600 euro al mese per ogni singola azienda. Il peso delle pratiche frena così gli investimenti e lo sviluppo. «L'agricoltura – ha ribadito Scanavino – è un settore fondamentale: non solo è la dispensa dell'Italia, ma rappresenta una risorsa strategica per la ripresa dell'economia. Anche con la crisi, infatti, l'agricoltura sta garantendo occupazione e produttività, spesso in controtendenza rispetto all'andamento generale». Nel 2013 infatti sono nate 11.485 nuove aziende, il 17% con titolare di età inferiore ai 30 anni. Unico neo i redditi degli agricoltori che nonostante un timido segnale di ripresa quest'anno, rappresentano il vero tallone d'Achille.
«Per questo ora serve un cambio di passo. E la scelta – ha affermato il neo presidente della Cia – di individuare agricoltura e cibo tra i settori chiave per il rilancio, come è indicato nel Job Act del premier Renzi, è un buon inizio». Il primo appuntamento sarà il confronto sull'attuazione della nuova Politica agricola comune. «Scontiamo un ritardo – ha affermato – che rischia di condizionare la nostra agricoltura. Altri paesi, come la Francia hanno già deciso, e non saranno ininfluenti le scelte adottate, perché nella Ue c'è una competizione quotidiana».
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