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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2014 alle ore 08:18.

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ROMA
Harvard sbarca a Roma. La più antica e prestigiosa università del mondo unisce le forze con l'ateneo di Tor Vergata per la ricerca sul cancro e l'offerta di servizi di alta biotecnologia. A partire dalle strategie messe a punto negli Usa da Pier Paolo Pandolfi, italiano in odore di Nobel.
È nata ieri nella capitale la Fondazione Hbt, Hope to beat tumorigenesis. Acronimo che richiama anche le istituzioni coinvolte: la Harvard Medical Faculty Physicians al Beth Israel Deaconess Medical Center (Bidmc) di Boston, lo stesso Bidmc, centro affiliato alla facoltà di medicina di Harvard, e Tor Vergata.
L'anima scientifica del progetto, presentato al workshop "La medicina di domani, oggi", è proprio Pandolfi, 50enne romano, studi a Perugia ed esperienze a Londra e a New York prima di approdare a dirigere il Cancer Center del Bidmc. Con il metodo della "staffetta topo-uomo" o "co-clinical project" ha già sconfitto la leucemia promielocitica acuta e ora punta a tagliare nuovi traguardi.
In che cosa consiste? Si parte da un gene la cui mutazione ha a che vedere con la genesi del tumore in un malato, lo si risintetizza e si inserisce in un topo, che condivide con l'essere umano il 95% del suo patrimonio genetico. Poi si testano alcuni farmaci finché non si individua quello che ferma il cancro nel topo e dunque anche nel paziente. Se il tumore sviluppa resistenza si ricomincia da capo. Fino a sviluppare rapidamente il cocktail di medicinali perfetto per quel singolo malato.
Una staffetta, appunto, che permette di integrare i dati dei trial simultanei nel topo e nell'uomo. Punto di forza del metodo è la velocità. «Nel topo – spiega Pandolfi – un tumore che dà sintomi dopo dieci anni in pochi mesi è ben sviluppato». Il secondo vantaggio è la possibilità di provare un gran numero di sostanze nuove ma anche vecchie: molecole già usate per altre malattie, ad esempio, o prodotti che non hanno dato i risultati sperati ma che hano superato le prove tossicologiche iniziali.
A Harvard il ricercatore può contare su un vero ospedale del topo, con tanto di Pet e Tac in miniatura. Tor Vergata lo seguirà e potrà condividere il know how di ricerca e di sviluppo biotech di Harvard. L'alleanza punterà infatti anche all'uso di tecniche innovative di sequenziamento del genoma nella diagnostica clinica quotidiana. E scommetterà sulla formazione dei ricercatori. «All'inizio saranno selezionati cinque giovani con un curriculum adeguato da una commissione mista di docenti italiani e americani», spiega il rettore, il genetista Giuseppe Novelli. «A regime potremo coinvolgere circa 500 giovani per tre anni, ma il numero dipenderà anche dai progetti che riusciremo a finanziare e dai partner».
Per una volta, quindi, i cervelli non fuggono: si scambiano. Pandolfi non ha dubbi: «Questo progetto apre una nuova era per la ricerca. E mi fa piacere che cominci con un nuovo Governo e con aria nuova».
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