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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2014 alle ore 08:17.

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Sostiene De Rita nell'ultimo rapporto Censis che per attraversare la crisi occorre anche attingere all'antropologia profonda del nostro "scheletro contadino". Sostiene Carlin Petrini che occorre ripartire anche dall'economia di sussistenza e dall'agricoltura famigliare, compresi gli orti urbani. Rete Impresa Italia porta in piazza a Roma l'imprenditoria minuta e diffusa, lo scheletro manifatturiero e commerciale del Paese, a urlare timidamente che non ce la fanno più. Mancavano solo i contadini e il quadro sarebbe stato completo: la terra, il territorio, l'Italia delle fondamenta e del secondo popolo che fa resilienza verso un primo popolo, la casta, l'Europa tecnocratica, che non è più connesso con il rizoma del Paese. Se poi in settimana si solleva lo sguardo verso il palazzo della politica, caratterizzato da Renzi pie' veloce, pare che Letta avesse il passo troppo lento, è tutto un twittare in tempo reale con la new generation digitale che viene avanti.
Lo scheletro contadino, manifatturiero e commerciale sembra proprio il non più rispetto al non ancora che viene avanti. Siccome non mi risulta che né De Rita, né Carlin Petrini siano stati folgorati da Latouche sulla via della decrescita felice, né che la dirigenza di Rete Impresa Italia sia in preda ai fondamentalismi dei neopopulismi che serpeggiano nell'Europa che si prepara alle elezioni, sarà il caso di continuare a cercare per capire come tenere assieme le lunghe derive del territorio con la velocità necessaria per uscire dalla palude della crisi.
De Rita, ogni anno, ci fa vedere l'Italia che metabolizza il cambiamento, si adatta ai traumi e cerca di farcela. Ne fa un arazzo di virtù civiche, di famiglie operose, che nonostante tutto fanno il Belpaese. Che è anche l'architrave della retorica di Renzi: l'Italia della bellezza, dei borghi, del made in Italy, dell'artigiania, delle imprese creative l'"Italia delle meraviglie". Con la metafora dello scheletro contadino credo che De Rita volesse farci capire che, i fiorentini, maestri della tessitura, sanno bene che l'immagine che appare nell'arazzo è frutto di un lavoro minuto che costruisce una trama e un ordito che sta dietro l'immagine. Non c'è immagine dell'Italia da raccontare senza un popolo che la tesse dal basso giorno per giorno. Ne tenga conto il fiorentino arrivato a Palazzo Chigi. Carlin Petrini con la Fondazione Slowfood, in collaborazione con la Fao, ha presentato a Milano il progetto 10.000 orti in Africa, orti scolastici, comunitari e urbani, in 25 paesi. Si parte dalla comunità, dai saperi antichi dell'economia di prossimità e si coinvolgono i giovani come John Kariuki e Eunice Njorge, veri artefici dell'iniziativa. Sono leader di comunità, che dopo aver studiato a Pollenzo all'Università del Gusto, tornati alla loro terra hanno realizzato presidi contaminanti le reti corte locali. Senza la rete lunga che va da Pollenzo all'Africa tutta in orizzontale, non avrebbe visto la luce questo progetto da Expo, per nutrire il pianeta con nuove energie e nuove visioni dello sviluppo che producono vita. Si torna ai fondamentali, si parte dall'economia di prossimità e dall'agricoltura famigliare, dalle biodiversità e dai prodotti tipici, che sarà bene ricordare sono alla base di quel distretto del gusto delle Langhe senza il quale non sarebbe stata possibile l'avventura di Eataly di Oscar Farinetti che piace tanto a Renzi che lo voleva ministro.
La qualità italiana dell'agricoltura, dell'enogastronomia, del turismo lento e borghigiano, che è un pezzo dell'immagine e della torta del made in Italy con il segno più, qui affonda le sue radici. Così come un pezzo dello scheletro manifatturiero e commerciale del paese è rappresentato da Rete Impresa Italia: 2milioni di attività artigiane e esercizi commerciali che fanno 14milioni di addetti. Immersi nel mare del capitalismo molecolare che, sarà bene ricordare, ha come tessuto 4,388 milioni di imprese con meno di 20 addetti (il 94% del tessuto produttivo italiano) e creano 24milioni di posti di lavoro. Questo non significa dimenticarsi né della Fiat anglo-olandese, né dell'Electrolux, né dell'Ilva di Taranto, né di Luxottica, il cui amministratore delegato Andrea Guerra era stato, pure lui, evocato come possibile ministro. E, so bene, che le 4mila medie imprese competitive che fanno export hanno radici e filiere in questa operosità diffusa di territorio.
Se l'antropologia dei commercianti e degli artigiani sviluppa un conflitto mite andando in piazza, altro da quello rancoroso dei forconi che lo aveva anticipato, è un evento interrogante. Se associazioni come la Cna e la Confartigianato o Confcommercio e Confesercenti che sono state simbiotiche con lo sviluppo territoriale della Terza Italia, dalla Lombardia al bianco Nord Est, o nelle regioni rosse del Centro Italia, se i commercianti di Milano e di Bologna vanno in piazza trainando il Sud desertificato nella crisi, sarà il caso di tenerne conto. Sono 357mila le imprese e le attività commerciali che non ci sono più, 78mila i collaboratori famigliari che hanno perso il lavoro nell'economia di prossimità che mette al lavoro la famiglia, e purtroppo troppo spesso siamo a raccontare il dramma di imprenditori che si suicidano quando si rompe il legame forte con l'impresa che è anche progetto di vita. Storie e numeri che fanno apparire l'arazzo strappato e la difficoltà di chi da dietro, spesso invisibile al racconto sociale ed economico, tesse e ritesse la tela del sistema paese. Rammendarlo è una priorità. Anche perché se si rompe il tessere e ritessere di milioni di persone che fanno impresa sarà difficile dipingere "l'Italia delle meraviglie" possibile. Fatta da un'agricoltura di qualità che va nel mondo, di borghi e contrade manutenute dai sindaci spesso evocati, che sono paesaggio e bellezza con le vie e i quartieri animati da commercio di qualità che tiene assieme vetrine e luci nei paesi e nelle città, con una capacità di fare manifattura e artigiania. Pronta ad allearsi con i makers delle stampanti 3D che vengono avanti, con le start up che, per ora, stanno nell'isola della fattoria digitale di Donadon visitata da Renzi. Molto dello sviluppo che verrà dipenderà dal navigare di queste isole tecnologiche nel mare del capitalismo molecolare senza naufragare.

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