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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2014 alle ore 08:17.

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Prato incassa l'impegno del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a trovare soluzioni al «problema cinese» che si trascina da 15 anni, e che ha mostrato la sua faccia più cupa a dicembre, quando sette operai cinesi morirono in un incendio mentre dormivano su un soppalco abusivo nella ditta di confezioni in cui lavoravano e vivevano nella zona industriale del Macrolotto.
«Insostenibile illegalità e sfruttamento», ammonì Napolitano in quell'occasione, sconcertato di fronte all'unico distretto etnico d'Europa, formato da 3.700 aziende cinesi che producono abiti made in Italy di bassa qualità (1 milione di capi al giorno), impiegando almeno 30mila connazionali e realizzando un giro d'affari di due miliardi di euro all'anno, per almeno il 50% in nero. Un unicum economico e lavorativo, che "macchia" l'immagine da cartolina della Toscana e minaccia il sistema imprenditoriale locale.
Ieri il capo dello Stato ha ricevuto al Quirinale il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e una delegazione di amministratori locali - formata dal presidente della Provincia Lamberto Gestri, dai sindaci di Prato, Roberto Cenni e di Campi Bisenzio, Emiliano Fossi - e di parlamentari (i senatori Claudio Martini e Riccardo Mazzoni, i deputati Matteo Biffoni e Edoardo Nesi), che gli hanno rappresentato illustrato problemi e proposte. Più di un'ora di colloquio ha lasciato soddisfatti i rappresentati toscani. Il presidente della Repubblica ha promesso che utilizzerà la sua moral suasion per sollecitare il Governo di Matteo Renzi a intervenire con provvedimenti concreti.
L'intenzione è di proseguire sulla strada già imboccata, «assicurando continuità - recita la nota del Quirinale - all'iniziativa già avviata in sede di governo nazionale, in collaborazione con le autorità nazionali e locali». In concreto significa riconvocare il tavolo nazionale per Prato, che si era aperto a Roma il 12 dicembre scorso, pochi giorni dopo l'incendio nel capannone-dormitorio, alla presenza di quattro ministri, istituzioni locali, vertici delle forze dell'ordine e degli organi di controllo, e che poi - anche per il cambio di governo - è rimasto in standby. Ora Napolitano invita a riprendere questo percorso, per definire quel «programma d'interventi concertati» che lo stesso presidente aveva invocato all'indomani della strage degli operai per arginare la «violazione delle leggi italiane e dei diritti fondamentali dei lavoratori».
Tre mesi e mezzo dall'incendio sono trascorsi senza cambiamenti sostanziali nel distretto cinese di Prato, e anche l'ultimo controllo delle forze dell'ordine, due giorni fa, in quattro confezioni cinesi contoterzi situate nello stesso capannone, vicino al centro, ha portata alla scoperta di 38 lavoratori cinesi, di cui 31 totalmente in nero, che lavoravano in condizioni igieniche e di sicurezza precarie. L'unico intervento nuovo è l'assunzione (in corso) di 74 nuovi tecnici della prevenzione da parte della Regione Toscana, di cui 50 destinati a Prato: avranno il compito di controllare i capannoni-alveari cinesi in cui si mangia, si dorme e si cuce per 16-18 ore al giorno (la previsione è di passarne al setaccio 3.320 entro il 2005) per rendere più sicure le condizioni di vita e di lavoro degli operai.
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