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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2014 alle ore 08:16.
L'ultima modifica è del 16 marzo 2014 alle ore 13:58.

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BOLOGNA
I grandi brand della moda si schierano: Lineapelle deve traslocare a Milano. La conferma che non ci sono più spazi per una retromarcia che consenta a Bologna Fiere di mantenere la più importante vetrina internazionale dell'industria della pelle arriva da Santo Versace, ai vertici della Gianni Versace ma anche presidente e fondatore di Altagamma, la Fondazione che riunisce i portabandiera delle eccellenze made in Italy, da Fendi a Gucci, da Valentino a Emilio Pucci per arrivare a Ermenegildo Zegna, Ferragamo, Ferrari, Ducati Motor. «Milano - dice Versace - è la capitale internazionale della creatività italiana.
La capacità di innovazione dei tanti distretti industriali del Paese, trova nel capoluogo lombardo il teatro più adeguato di presentazione e promozione alla clientela e ai media mondiali». A decidere, aggiunge Armando Branchini, past president di Eccia, Alleanza europea delle industrie di alta gamma, è il mercato.
«Una filiera competitiva - dice Branchini - ha bisogno di una industria conciaria forte. Lineapelle è ancora leader a livello mondiale ma la fiera concorrente di Parigi sta crescendo rapidamente, portando via espositori con il vantaggio di avere date adeguate: metà febbraio e metà settembre». Parole che tracciano un confine che appare invalicabile per il capoluogo emiliano, scosso dalla perdita, dopo quasi tre decenni, di uno dei suoi saloni più importanti, appuntamento di punta con il settore conciario italiano, 1.500 imprese, 18mila addetti diretti, altri 15mila se si conta anche l'indotto degli accessori, un fatturato di 5 miliardi e un futuro sempre più legato alle traiettorie mondiali del lusso. E se Bologna Fiere minaccia di fare della battaglia con Fiera di Milano una guerra legale, il sindaco Virginio Merola si appella addirittura al ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi per frenare l'espansione, a spese di Bologna, del capoluogo lombardo.
A decidere, in realtà, sono già state le griffe, a cui sono legate almeno 400 imprese conciarie, che chiedono un calendario adeguato alla domanda di un mercato dove a dettare le regole sono i grandi gruppi. La stragrande maggioranza degli espositori (1.101 in tutto all'ultima edizione bolognese, quella che si è appena conclusa), non è disposta a tornare indietro. Sono le imprese della Toscana, regno del segmento moda, con il 30% del fatturato totale, quelle del Veneto, regione capofila delle concerie (40% del volume d'affari), della Campania. Bologna Fiere, a questo punto, potrebbe giocarsi il tutto per tutto facendo leva sulla sua quota di minoranza, il 47%, in Lineapelle.
Ma la decisione è presa (la manifestazione farà il proprio debutto a Milano dal 10 al 12 settembre) e a cambiare le carte in tavola, dice l'ad di Lineapelle Salvatore Mercogliano, «non sono certo i campanili». Bologna può scegliere di contribuire a fermare il declino del salone (negli ultimi tredici anni ha perso il 26% degli espositori) oppure, prosegue Mercogliano, «può imboccare altre strade: tutti se ne faranno una ragione. Dietro di noi ci sono decine di imprese. Dobbiamo salvaguardarle e difendere i posti di lavoro».
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