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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2014 alle ore 08:13.

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A distanza di un anno l'operazione sblocca-debiti è esattamente a metà strada. E si trova ora ad affrontare alcuni dei suoi ostacoli più difficili. Il prossimo 9 aprile infatti compirà un anno il primo strumento straordinario con cui il Governo (allora c'era Monti) ha deciso di aggredire l'enorme stock di debiti arretrati accumulati dalle pubbliche amministrazioni. In questi dodici mesi sono state assegnate più della metà delle risorse messe a disposizione: 27 miliardi sui 47 totali per il 2013-2014 (si veda l'aggiornamento sul Sole 24 Ore del 29 marzo).

Da erogare ne restano ancora 20, che secondo le stime dello stesso Mef potrebbero essere messi a disposizione entro giugno. Decisamente alta anche la percentuale dei pagamenti: 23,5 miliardi, il 94% delle somme realmente girate alle amministrazioni è ora nelle tasche di imprese in attesa da anni (ricordiamo che i debiti saldabili sono solo quelli fino al 31 dicembre 2012).
La macchina organizzativa dunque sta funzionando e ha consentito di immettere nel sistema in pochi mesi un'iniezione di liquidità straordinaria. In più a breve - stima il Mef - sono in arrivo altre due tranche: la prima da 6,3 miliardi per i debiti sanitari delle Regioni, l'altra da 7,2 per quelli extra sanità. Ma restano alcune pesanti criticità da risolvere.

Le Regioni
Ci sono, per esempio, due miliardi "prenotati" da tre Regioni (Sicilia, Calabria e Campania) e non ancora erogati. E per una Campania che sta completando la definizione del piano di rientro e si avvia così a sbloccare il miliardo prenotato, c'è ancora la Sicilia con la stessa cifra bloccata (si veda Il Sole 24 Ore del 18 marzo). A bocca asciutta anche i fornitori della Regione Calabria, dopo la marcia indietro della Regione su 149 milioni di prestito Cdp (ancora prima delle dimissioni del governatore Scopelliti).

I Comuni
Un'altra criticità riguarda invece la spesa dei 5.504 Comuni che hanno ottenuto i fondi: secondo i dati forniti dal ministero dell'Economia in esclusiva al Sole 24 Ore, in ben 12 regioni su 20 i Comuni sono indietro con i pagamenti e si attestano su una soglia inferiore al 90% delle risorse ottenute (si veda la tabella a fianco). Anche eliminando i casi estremi delle regioni autonome di Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e Provincia di Bolzano inchiodate poco sopra lo zero (ma qui il problema potrebbe essere di rendicontazione), restano comunque nove realtà territoriali in affanno. Dal Lazio fermo al 76% alla Calabria (al 71%): la media di smaltimento è dell'85 per cento.
Poi c'è chi invece i soldi in cassa li avrebbe, ma non riesce a spenderli. Un esempio lo ha offerto il decreto che ha ripartito gli ultimi 500 milioni di allentamento del patto di stabilità tra gli enti locali. Le richieste hanno superato i tre miliardi di euro, di cui 2,244 dalle Regioni, che in base ai criteri indicati dalla norma sono rimaste del tutto a bocca asciutta. La "domanda" di pagamenti inevasa resta alta, per via appunto dei vincoli del Patto. Lo sanno bene i costruttori dell'Ance che hanno stimato come per i lavori pubblici l'80% degli arretrati sbloccati sia frutto dell'allentamento del patto di stabilità e solo il restante 20% delle anticipazioni della Cdp.

Sullo sfondo resta poi il problema del censimento dello stock complessivo di arretrati: è fallito il tentativo di censirli con la registrazione delle fatture nella piattaforma di certificazione del credito. E l'unica stima ufficiale resta quella dei 90 miliardi di Bankitalia. All'appello continuano a mancare, per esempio, i debiti fuori bilancio, comprese le spese per lavori pubblici che essendo investimenti in conto capitale emergono solo se e quando vengono pagate con la «cassa». Un problema che neanche il Ddl Renzi che promette di chiudere l'intera partita aumentando il ricorso a Cdp risolve: «Occorre intervenire sul patto di stabilità e superare la distinzione contabile tra competenza e cassa» sollecita il presidente Ance, Paolo Buzzetti che lancia l'allarme: «I ritardi nei pagamenti stanno aumentando in questo inizio 2014: siamo tornati a una media di sette mesi di attesa».
A distanza di un anno, poi, c'è ancora uno zoccolo duro di debiti non scalfito: il 13% nelle Pmi, secondo i dati della ricerca di Fondazione impresa sulle realtà con meno di 20 addetti. Significa che l'impresa sta aspettando nella migliore delle ipotesi da 15 mesi, in teoria anche da più anni.

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