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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2014 alle ore 22:22.

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"Made In", ultima chiamata. Dipenderà tutto dal voto dell'Europarlamento fissato per il 16 aprile – l'ultimo prima della chiusura dell'Aula per le elezioni di rinnovo a maggio – il "destino" della proposta di regolamento che, tra le altre cose, potrebbe imporre l'etichettatura di origine obbligatoria su prodotti finiti e semilavorati, il cosiddetto "made in".

Se ci sarà il sì convinto dell'assemblea plenaria – visto che il Consiglio non trova un accordo per la contrarietà di Germania e dell'area anglo-scandinava – si potrà spingere perchè l'attuale Commissione Ue, in carica fino all'autunno, faccia almeno partire il negoziato per trovare un accordo. E il semestre di presidenza italiano potrebbe giocare un ruolo fondamentale.

Se anche il Parlamento Ue dovesse bocciare la proposta (anche se ad ottobre fu approvata in commissione a maggioranza assoluta), il provvedimento andrebbe a naufragare, come già accaduto quattro anni fa con il precedente tentativo.

A fare il punto sullo stato dell'arte sono stati, ieri a Milano, Assocalzaturifici (l'associazione delle imprese calzaturiere italiane) e un gruppo di europarlamentari di opposti schieramenti che hanno seguito da vicino il dossier.

«Il voto del 16 aprile – ha spiegato il presidente di Assocalzaturifici, Cleto Sacripanti – è vitale e determinante. L'Europa è ancora l'unica tra le maggiori economie mondiali a non prevedere per legge l'etichettatura obbligatoria d'origine per le merci che circolano all'interno dell'Ue. Una mancata legislazione provoca enormi danni alle imprese, non solo italiane, ma certo alla qualità, alla artigianalità e al nostro saper fare».

Per questo l'articolo 7 della proposta di regolamento prevede che i fabbricanti e gli importatori appongano sui loro prodotti un'indicazione del paese d'origine e, nel caso in cui le dimensioni lo consentano, anche sull'imballaggio della merce o su un documento di accompagnamento.

«Forti dubbi» sul buon esito dell'iter li ha espressi ieri l'europarlamentare Cristiana Muscardini (Conservatori): «Se non ci sarà l'impegno forte del governo italiano sin dall'inizio del semestre di presidenza europeo temo che non si riuscirà a fare pressing sulla Commissione in scadenza nè sui Paesi membri. Sia tra quelli meno "sensibili" alle esigenze della manifattura (come gli anglo-scandinavi), sia la Germania, che ha sì una manifattura ma di forte assemblaggio di semilavorati dai Paesi emergenti e che dalla tracciabilità potrebbe trarre un danno di immagine». Per l'eurodeputata Lara Comi (Ppe) «il "blocco" dei dossier più scottanti in Consiglio va superato dotando l'Europarlamento di inziativa legislativa e rafforzamndo l'unione politica».

Mentre sulla vicenda "Made in" «più ottimista» si è detta Patrizia Toia (Pse): «Il Parlamento Ue, in commissione, ha già votato per questo testo, con una relatrice danese e la convinta adesione dei socialdemocratici tedeschi. La Germania, sul punto, si è spaccata. Insomma, ci sono margini. Inoltre, il premier Matteo Renzi è sensibile a questi temi e potrebbe negoziare a favore del "made in" magari in cambio di qualche concessione su dossier per noi meno prioritari ma importanti, magari per i tedeschi».

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