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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2014 alle ore 09:11.

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Le risorse ci sono, i criteri per spenderle in maniera efficace ancora no. È il bilancio da tracciare a cinque anni di distanza dall'avvio dei progetti di promozione del vino sui mercati extra–Ue cofinanziati da Bruxelles. Una misura che, partita in sordina nel 2009 (con appena 4,5 milioni di euro), è arrivata ormai a quota 102 milioni. Tanti infatti ne sono stati stanziati per il 2014 e altrettanti saranno disponibili ogni anno fino al 2018 nell'ambito del nuovo periodo di programmazione comunitaria.

Un budget di primo piano che però sconta qualche vizio d'origine: innanzitutto a distanza di cinque anni non c'è alcun feedback, alcuna valutazione su come queste risorse siano state utilizzate, anche se il trend degli ultimi anni dimostra che i finanziamenti sono stati sempre, e quasi in toto, utilizzati ed è indubbio che i fondi promozione hanno spinto oltrefrontiera tanti viticoltori che altrimenti non ci sarebbero mai andati.
Risultati senza dubbio positivi. Tuttavia, per un programma che tra il 2009 e il 2013 ha utilizzato oltre 227 milioni di euro di risorse Ue una qualche analisi approfondita dei risultati prodotti andrebbe effettuata. A questo va aggiunto che con la recente riforma dell'Ocm unica i fondi promozione che prima erano destinati a investimenti nei soli paesi extra Ue, ora potranno essere utilizzati anche in Europa, ma con precise limitazioni: i progetti nella Ue potranno riguardare la sola promozione delle denominazioni d'origine o il consumo consapevole di vino e non potranno in alcun modo coinvolgere, a differenza dei progetti extra–Ue, i brand aziendali.

«Credo che uno dei vizi d'origine della misura promozione – spiega il titolare della Masi e vicepresidente del Consorzio Grandi Marchi, Sandro Boscaini – sia nella regola base che prevede che il budget venga gestito per due terzi dalle regioni e solo per un terzo dal ministero per le Politiche agricole per piani di respiro nazionale. Questo non ha favorito in mercati lontani, come la Cina, la diffusione di un messaggio unitario sul vino italiano, perché ogni regione ha finito per fare partita a sè anche in concorrenza con i vini di altre aree del Paese». Una situazione che Boscaini non esita a definire «paradossale». La soluzione più ovvia – conclude – è quella di «affidare alla gestione regionale le azioni sui mercati Ue, dove i consumatori sono in grado di cogliere le differenze, e privilegiare una regìa unica sui mercati mondiali dove va costruita un'immagine d'insieme del vino made in Italy ».

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