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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2014 alle ore 17:30.
L'ultima modifica è del 17 aprile 2014 alle ore 19:32.

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Lo schema del tracciato del gasdottoLo schema del tracciato del gasdotto

Delusioni a catena per il sogno di trasformare il nostro paese in un lucroso hub energetico per l’intero continente europeo. Non bastava la vistosa frenata al progetto del nuovo gasdotto South Stream che dovrebbe lambire l'Italia da est. Né la gelata alla via metanifera che promette di aprirsi da Oriente con i tubi transcontinentali del progetto Tap e che dovrebbero approdare in Puglia ma che le popolazioni di quei territori non vogliono. Ora la doccia fredda viene anche da Nord: non si farà il gasdotto Tgl che dalla Germania doveva attraversare l'Austria per approdare a Tarvisio. Un progetto, quest'ultimo, che aveva tutte le carte in regola per accelerare quello che era il nostro paese il grande sogno energetico del nuovo millennio: la piattaforma fisica e commerciale del gas capace di captare buona parte del metano vecchio e nuovo che servirà all'Europa facendolo transitare, con tutti gli immaginabili profitti, proprio da noi.

Il dietro front
Il Tgl sembrava ad un passo dalla concretezza. Aveva il bollino dell'opera prioritaria della Comunità europea in nome della sicurezza energetica dell'intero continente. Era stato progettato per avere sin dall'inizio un flusso bidirezionale e dunque per costituire un'infrastruttura non di semplice importazione verso l’Italia ma di scambio nei mercati integrati europei. Le procedure autorizzative erano già state avviate sia in Germania che in Austria. Ma lo stop, che sembra definitivo, è arrivato direttamente dal consiglio d'amministrazione di Tgl. I soci del consorzio, controllato dalla tedesca EOn con il 46,7% con il resto dell'azionariato in mano ad un gruppo di operatori austriaci, considerano ora il progetto impraticabile a causa di una serie di fattori concomitanti.
Il primo ostacolo deriva dall'attuale fase di profonda depressione del mercato delle gas continentale, che risente pesantemente della crisi congiunturale ma secondo gli analisti non riprenderà tanto facilmente anche nell’ipotesi di una ripresa delle economie. Il secondo freno è rappresentato dal mutamento strutturale della contrattualistica nei mercati internazionali del gas, che stanno progressivamente abbracciando le forniture spot ridimensionando progressivamente lo schema dei contratti “take or pay” a lungo termine, che sicuramente impongono una serie di rigidità ma consentono di programmare più agevolmente investimenti in grandi opere. Il terzo fattore è nelle pesanti difficoltà normative e regolatorie che riguardano in parte il nostro paese ma che sono determinate soprattutto (sembra un paradosso ma è così) dalle normative poco concorrenziali dell'Unione Europea, che impongono crescenti obblighi di mettere a disposizione di terzi le nuove infrastrutture complicando non poco le stime di redditività degli investimenti.

Aria di smobilitazione
Se uniamo tutto ciò con il piano di complessiva ridefinizione del socio di maggioranza EOn del suo perimetro di business con una tendenza ad un disimpegno da alcuni mercati, in particolare da quello italiano, ecco spiegato uno stop che sembra non avere appello. Proprio per diluire il peso di questi fattori il consorzio aveva tentato nei mesi scorsi di allargare la compagine con una gara per individuare i soggetti eventualmente interessati ad entrare nel capitale. Ma l'operazione si è conclusa nell'ottobre scorso senza successo.
Per l'Italia è davvero una gelata e le sue ambizioni di dotarsi d delle infrastrutture necessarie a concretizzare il progetto dell’hub metanifero. Il Tgl, per il quale era stato allestito un piano esecutivo già nel 2008, poteva rappresentare un passo significativo per la conformazione dell’hub, con i suoi oltre 10 miliardi di metri cubi di capacità teorica annuale (oltre il 15% degli attuali consumi nazionali di gas) attraverso tubature che si dovevano sviluppare per quasi 300 km, bisognose però di investimenti per quasi 1,5 miliardi di euro.

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