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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2014 alle ore 20:06.
L'ultima modifica è del 15 maggio 2014 alle ore 21:20.

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Dopo una crisi iniziata nel 2008 e non ancora conclusa, il mondo dello shipping ricomincia a vedere qualche spiraglio di luce, confermato da un aumento delle attività di trading internazionale. Ma a pesare sul futuro dell'armamento c'è il sempre più marcato ricorso al private equity o agli hedge fund per il finanziamento delle esigenze di crescita (o di ristrutturazione) delle compagnie. Complice di questa situazione il passo indietro compiuto dalle banche, e rilevato da molti armatori, nel sostenere i progetti di lungo periodo delle società di navigazione.

La questione è emersa con evidenza oggi, a Roma, nel corso della decima edizione di Mare Forum Italy, incontro internazionale durante il quale si confrontano ogni anno armatori, broker, banche e istituti finanziari. Nel corso del meeting, è emersa una forte critica, da parte dei rappresentanti dell'armamento, nei confronti di chi, nel settore, si serve di forme di finanziamento speculative.

Mariella Bottiglieri, managing director della Giuseppe Bottiglieri shipping company, che è in prima linea nell'organizzazione dell'edizione italiana di Mare Forum, spiega: "Il 90% delle compagnie è di impronta familiare ed è difficile conciliare le family company, che hanno visioni di lungo periodo, con private equity ed hedge fund, che vogliono vedere ritorni in tempi brevi, che vanno da uno a cinque anni massimo. Ovviamente anche il capitale che impiega un armatore deve dare un ritorno economico. Ma i tempi sono diversi.

Certamente possono esserci private equity che condividono gli obiettivi perseguiti dall'armamento ma sono davvero pochi. In questo periodo, con la crisi, i private appaiono più affascinanti agli occhi delle società armatoriali, perché le banche hanno fatto un passo indietro. E' un peccato perché le crisi, nel nostro settore, sono cicliche ma sono sempre seguite da una ripresa. E, quando questa avviene, è necessario che le imprese ci siano ancora. Si è visto, invece, che le banche hanno preso ad assumere una visione di medio periodo, simile a quella dei private equity. Oggi, inoltre, gli hedge fund stanno acquisendo crediti in difficoltà delle banche. Un'operazione che ha senso sia per i fondi sia per le banche, che fanno una stop loss. Queste ultime, però, dovevano restare accanto agli imprenditori. Anche perché ora è prevista dai trader una crescita dei volumi delle merci movimentate. Il che potrebbe far rientrare l'overcapacity di stiva (con conseguente crollo dei noli, ndr) che ha colpito l'armamento negli ultimi anni. Ma bisogna convincere gli armatori che lavorano con i private equity a non ordinare nuove navi, come invece stanno ricominciando a fare, anche perché, a differenza delle family company, investono soldi che non sono loro".

Secondo Ugo Salerno, Ceo del gruppo Rina, specializzato in servizi di consulenza, classificazione e certificazione, "emerge la tensione degli armatori nel vedere tanto capitale sul mercato per l'acquisto di navi nuove, mentre non è ancora assorbito il flusso delle unità ordinate fino al 2008. Si pensa che quel capitale sia mosso con intenti speculativi".

Sul tema prende posizione anche il presidente di Confitarma, Manuel Grimaldi: "Il vero punto è che non bisogna ordinare navi senza sapere cosa se ne vuole fare. Mentre se il problema è che ci siano soldi freschi, i private equity potrebbero entrare, affiancandosi, con quote di minoranza, alle famiglia armatrici. E poi si può puntare sulle eco-ship senza bisogno di ordinare nuove unità: avviando interventi di retrofit per ammodernare e rendere ecocompatibili navi di 5-10 anni. Per quanto riguarda le banche, a fronte di una liquidità limitata hanno dovuto decidere se aiutare le imprese in difficoltà o finanziare nuovi investimenti. Ha prevalso la prima soluzione. Per questo il mio gruppo, che conta 11 navi in costruzione, ne ha solo due finanziate in Italia e nove presso istituti esteri".

Giuseppe Mauro Rizzo, ceo della Rizzo Bottiglieri De Carlini, da parte sua, sottolinea che "le banche, le quali tradizionalmente supportavano gli armatori, al momento sono in totale inattività per il settore. Quando società armatoriali investono, lo fanno guardando al lungo termine. I fondi di private equity, invece, puntano sul breve. Questi, a mio parere, possono rappresentare un'efficiente sostituzione del credito bancario ma bisogna contemperare le esigenze del private equity con quelle, più di lungo periodo, delle compagnie. Se un fondo condiziona le scelte dell'armatore diventa un problema e rischia di snaturare la società di navigazione. Oggi, poi, le banche stanno cambiando, attraverso numerose operazioni di aumento di capitale e con nuovi manager. Un tempo gli istituti di credito svolgevano funzioni economiche ma anche sociali. Oggi vengono scalate da fondi americani e bisognerà capire, al termine di questi percorsi, quale strada prenderanno".

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