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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2014 alle ore 15:54.
L'ultima modifica è del 22 maggio 2014 alle ore 15:55.

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Dopo un anno e mezzo di attesa è finalmente arrivata oggi la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea del "documento unico" per il riconoscimento della Igp Piadina e Piada romagnola. Ultimo passo per arrivare al bollino comunitario di questo piatto simbolo della riviera adriatica che diventerà il numero 40 delle specialità della regione tutelate dall'Ue.

Una sfoglia a base solo di farina di frumento, strutto od olio extravergine di oliva, sale, acqua e agenti lievitanti (il disciplinare vieta l'aggiunta di conservanti, aromi e altri additivi) che mette d'accordo giovani e vecchi, gourmet e profani e che potrà fregiarsi del marchio Igp solo se prodotta tra le province di Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna e alcuni comuni dell'Imolese (la parte orientale della provincia di Bologna che è storicamente romagnola e non emiliana). Comprensorio dove si sfornano oltre mezzo miliardo di piadine ogni anno per un business di un centinaio di milioni alla commercializzazione (tra Gdo ed Horeca), cui si aggiunge un'altra trentina di milioni realizzata nei pittoreschi e colorati chioschi che punteggiano il Ravennate.

«Questo è il penultimo passo prima di arrivare al debutto ufficiale dell'Igp sul mercato, che contiamo avverrà subito dopo l'estate, passati i tre mesi per la presentazione di eventuali osservazioni, con la registrazione definitiva », afferma Elio Simoni, presidente del Consorzio piadina romagnola, nato a fine 2011 e che oggi raggruppa 22 produttori da tutta la Romagna, numero destinato a salire con l'adesione già annunciata delle migliaia di chioschi romagnoli.

La prima richiesta di registrazione della piadina Igp ai tecnici di Bruxelles risale al novembre 2012 e dopo due integrazioni di documenti nel corso del 2013 (per precisare che San Marino non fa parte dell'areale di produzione e alcune caratteristiche di lavorazione e confezionamento) la proposta del bollino Ue è passata. «Proposta – aggiunge il presidente - che nasce dalla volontà di tutelare la storia, le tradizioni, il territorio, i sapori di un prodotto emblema della nostra terra di Romagna e che ci apre ora la strada dei mercati internazionali, fermi finora a pochi punti percentuali del fatturato».

Due le piadine tutelate: quella romagnola, più piccola e più spessa (in genere sotto ai 15 centimetri di diametro, ma non è tassativo, e dai 3 agli 8 millimetri di spessore, come da disciplinare comunitario), prodotta e consumata quasi esclusivamente nei chioschi della riviera; la piadina di Rimini larga e sottile, con un diametro che può variare tra i 22 e i 35 centimetri e uno spessore massimo di 3 millimetri, che vale il 99% dei volumi venduti. Nel caso di adozione di un processo produttivo che comprenda la realizzazione manuale di almeno tre fasi e in assenza di confezionamento chiuso, potrà essere utilizzata la dicitura "lavorazione manuale tradizionale".

«Con la piadina Igp arriviamo alla quarantesima denominazione comunitaria in Emilia-Romagna, un primato nazionale – commenta l'assessore regionale all'Agricoltura, Tiberio Rabboni - ed è il riconoscimento di un'agroalimentare straordinariamente ricco di storia, di tradizione, biodiversità e tipicità, che ha saputo conciliare modernità e identità. Tra non molto, fuori dalla Romagna nessuno potrà più usurpare il nome di questo prodotto unico e irripetibile.

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